È entrata nei quarti di finale l’edizione 2014 del Mundialido, mondiale di calcio dedicato alle comunità di tutto il mondo che vivono a Roma. Sabato 21 giugno sui campi dell’Atletico 2000 si è disputato l’incontro tra Colombia e Paraguay.
Match acceso, livello tecnico alto e colpi di scena a non finire: dopo l’uno pari dei tempi regolamentari la Colombia segna su calcio di rigore ai supplementari ma è poco dopo ripresa dall’avversaria. La partita si conclude ai rigori 8-9. Passa il Paraguay, che insieme a Moldova, Perù e Romania si contenderà il 25 giugno l’accesso alla finale.
“Siamo comunque soddisfatti del risultato – dichiara Ricardo Villamizar, presidente della Colombia – Rispetto alle precedenti edizioni siamo riusciti ad arrivare ai quarti, a dimostrazione che la squadra è cresciuta”. Nata tre anni fa, la formazione colombiana è diventata un punto di attrazione della comunità: “Il bello del Mundialido è che ci riuniamo tutti e sembra di stare allo stadio” spiega accennando alle tifoserie che durante l’incontro sono letteralmente esplose sugli spalti. Anche la delusione che non cerca di nascondere è emblematica di un calcio che è tutto pancia ed emozione. E dei suoi giocatori va fiero: “Sono tutti bravi, Bonija e Olmes giocano anche nelle eccellenze”. Se si parla di irrequietudine il podio va a Gustavo Murillo: “Urla in continuazione e litiga con i compagni”. E il più simpatico? “Eh, sempre lui” sorride Villamizar.
“Quando si avvicina l’inizio del Mundialido siamo in fermento, le squadre sono forti e c’è molta competizione” racconta David Alvarez, capitano del Paraguay. “Giochiamo insieme dal 2010 e siamo diventati praticamente fratelli”. Per tutti la difficoltà principale è la distanza da casa: “Oggi c’è anche mia madre a vedermi, è la prima volta che viene in Italia”. Lui invece in Paraguay non va da quattro anni: “Sono un infermiere ma da noi non c’è lavoro quindi sono dovuto emigrare”. Per il riconoscimento dei titoli di studio avrebbe dovuto frequentare una scuola per un anno e mezzo: “Io però avevo bisogno di lavorare, quindi mi sono accontentato di fare l’autista”. Il calcio in qualche modo ti ripaga: “È una passione che ci unisce, un modo per ricreare una famiglia qui”.
Sul prato che costeggia il campo si disputa nel frattempo un’altra bella partita, quella tra Manuel, quattro anni e maglia gialla della Colombia e Esteban, cinque anni, vestito con i colori del Paraguay. L’affiatamento tra i due vacilla solo sul tema ‘donne e calcio’: “Le femmine non possono giocare a football, quello è un lavoro da maschi – è la convinzione di Manuel – le femmine possono giocare a baseball”. “Guarda che anche le femmine possono giocare a calcio – lo contraddice Esteban – però in un campo più piccolo”. La diatriba viene superata poco dopo da una dichiarazione esclusiva di Manuel: “Ha detto mia mamma che domani mi porta a giocare al giardino con lui!”.
Sandra Fratticci
(22 giugno 2014)
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