A Rebibbia assegnati i premi Methexis e Cervantes

Uno screenshot di Selma, vincitore del premio Methexis
Uno screenshot di Selma, vincitore del premio Methexis

Donna, della sponda sud del Mediterraneo e soprattutto ribelle. L’identikit delle premiazioni del Concorso Internazionale Cortometraggi riflette i cambiamenti sociali in corso dalla cosiddetta “primavera araba”, con le componenti giovanili e femminili protagonisti e portavoce del bisogno di cambiamento. È così che Selma di Mohamed Ben Attia (Tunisia) e Christine della libanese Mounia Aki portano a casa rispettivamente il Methexis ed il premio Cervantes, nell’ambito della ventesima edizione del Medfilm Festival.

La giuria, composta da studenti diplomandi delle scuole di cinema dei loro rispettivi paesi – il 2014 ha visto la presenza dei libanesi Marie Louise e Nadim, la turca Zeynep, la marocchina Soukaina, la greca Nefeli, lo spagnolo Roberto, il serbo Vladimir e la nostra connazionale Francesca – e da detenuti delle case circondariali di Palermo, Matera, Padova, Trieste e Roma Rebibbia, non ha trovato grandi difficoltà nel laureare i vincitori una volta riunita nel carcere romano, anche se diversi titoli hanno fatto vacillare le scelte.

Come The Target, del marocchino Munir Abbar, storia di un ambiguo giovane berbero, presunto aspirante terrorista – quella che sembra una bomba si rivelerà una semplice macchina radiocomandata per il piccolo vicino di casa ma i dubbi non sono fugati. All’unanimità è stato riconosciuto il corto realizzato con la migliore tecnica, anche la costruzione del plot era elaborata, quasi da lungometraggio nonostante gli appena 18’.

Screenshot di Christine, premiato con il Cervantes
Screenshot di Christine, premiato con il Cervantes

O ancora Wooden Hand, vicenda di una bambina tunisina che pur di non seguire le lezioni coraniche si incolla la mano ad una sedia, con una serie di conseguenze divertenti, anche più carico di significati rispetto a The Target. Dettagli considerati da entrambi i rami della giuria, l’occhio cinefilo di chi studia la materia non valuta per questo la forma più del contenuto. Discorso valido per War on famous canvas del siriano Amjad Wardeh, apprezzato sopratutto dai detenuti, 2’ intensi che mostrano come la guerra nel paese mediorientale sia paragonabile a bombardare dipinti ed opere d’arte, patrimonio dell’umanità.

Il compromesso tutt’altro che forzato ha premiato quindi Selma, storia di una vedova che deve contrastare la decisione della suocera che non vuole farle guidare il taxi del defunto marito, destinato all’altro figlio, disoccupato da tre anni. Del corto hanno colpito il livello emozionale della trama e quello simbolico del taxi, ultimo ricordo del caro scomparso, così come la lotta contro le imposizioni e i dogma della società, nella quale è facile riconoscersi.

Più sorprendente per certi versi il riconoscimento a Christine, vista la tematica delicata e forse anche tabù in alcuni ambienti. Nell’area cristiana del Libano una suora deve scegliere fra il lasciare il convento per recarsi al capezzale della madre e l’obbedienza alla regola, nel mezzo c’è la reciproca attrazione fisica con la badessa. L’argomentazione (omo)sessuale fra i reclusi è vista diversamente, vale per gli ordini monastici come per i carceri – con le dovute differenze. Ma la spinta per l’accettazione di se ha conquistato un po’ tutti.

Screenshot di The Target
Screenshot di The Target

Fuori dal coro il serbo Vladimir, che ironizza “fare vedere un bacio saffico ai carcerati porta alla vittoria sicura!”, per poi esporre le contestazioni serie, sulla scarsa credibilità di attrici ben pettinate e curate, anche troppo per essere suore, e sull’aver voluto mettere più argomenti in pochi minuti. Focalizzarsi su uno dei due problemi – la possibile storia d’amore o la madre morente – a suo giudizio sarebbe bastato.

Ad ogni modo risultato che soddisfa, anche per l’esperienza della visita a Rebibbia, bello spot contro i pregiudizi e gli stereotipi sui carcerati, sicuramente più lineari ma non per questo meno efficaci nell’esporre le proprie scelte e motivazioni, a volte puramente istintive quando l’inglese dei sottotitoli non è compreso appieno. E quando due mondi all’apparenza distanti si integrano anche solo per un paio d’ore scambiandosi saperi e visioni non resta che dire: ben fatto.

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Gabriele Santoro(14 luglio 2014)