“Ognuno di noi deve dare all’altro, secondo le proprie possibilità”. Una di queste sere ho accompagnato Fatima, un’insegnante di ballo italiana, e le sue sorelle alla stazione Termini per dare da mangiare ai poveri. Le ragazze hanno cucinato la pasta, il riso, l’ humus e comprato dei dolci e l’acqua. “Esiste sempre un angelo che ci sfama”, ringraziavano i barboni, contenti di poter scegliere tra vari tipi di pasta. Miriam, l’ideatrice dell’iniziativa è nata a Roma da padre egiziano e madre italiana, ma solo lei segue le regole della religione. “In Egitto succede ogni giorno quello che stiamo facendo noi oggi. Quello che abbiamo è stato dato da Dio, meglio dare a chi non ha niente”.
Fatima ha distribuito asciugamani, sapone, crema da barba, pettini e crema idratante, pensando all’igiene. Sarah ha cucinato il tiramisù, viene dalla Turchia, ma lì non festeggiava il Ramadan, lo fa da 10 anni in Italia insieme a genitori e parenti. Qualche ragazzo musulmano chiede di portare via il cibo per mangiarlo dopo le 21.00. Sarah ha sete, sta contando i minuti. Alle 20.50, le ragazze si fermano in mezzo alla strada per interrompere il digiuno con un bicchiere di succo di frutta. Miriam tira fuori anche una sigaretta. Mi spiega che certi fumatori rinunciano al Ramadan proprio perché non resistono a non fumare durante il giorno. Non si è mai sentita una persona che dicessi che non ha fame o sete, la sfida invece è resistere e nutrirsi con la fede – il cibo di Dio.
“Nasciamo tutti musulmani, non si diventa musulmano, si ritorna ad esserlo”, così spiega Fatima la sua scelta di cambiare la religione. Per lei è il primo Ramadan e lo vive con emozione. Mi invita ad assistere all’interruzione del digiuno dei musulmani sciiti nella sede dell’associazione Islamica Imam Mahdi di via Gualdo Tadino 17 a Roma. Il centro non è grande, ma accogliente. Sono stata presente all’iftar, rigorosamente coperta dalla testa ai piedi, le scarpe lasciate all’entrata, seduta sui morbidi tappeti per immedesimarmi in loro. Fatima prega nella stanza delle donne vestita con l’ihab nero, le si nota la pelle bianca del viso e lo sguardo soddisfatto. “Erano anni che pensavo di passare dal cattolicesimo all’islam, la chiesa è tanto tempo che dice delle bugie”. Ha tanti amici musulmani, è stata per qualche anno con un ragazzo pachistano e insegna la danza indo-pakistana, del Bangladesh, dello Sri-lanka. “Il digiuno ti dà molta forza, è difficile non bere, ma sopporti. Se mangi e bevi durante la notte affronti bene il giorno”. Sta cercando di capire i comportamenti: durante il Ramadan non devi sparlare o rispondere male, pensare male dell’altro. La cosa più importante da affrontare è il ballo, davanti agli uomini la fede lo vieta, ma per una professionista ballare davanti al pubblico è vitale.
“Grazie a Dio sono riuscita a rispettare un altro digiuno come riuscirò a farlo tante altre volte”, questo dirà alla fine del Ramadan la giovane Anmol di 17 anni che prega insieme a Fatima. Nata a Roma, ha imparato le tradizioni musulmane dai suoi genitori e riesce a seguire in modo esemplare il periodo di purificazione. “Non ho fame e sete, soltanto qualche volta mi si asciuga la lingua dal caldo, ma resisto”.
“Il mese di Ramadan è triste per noi: tante sorelle e bambini vengono uccisi in Palestina, Gaza, Siria e le mie preghiere vanno a loro. Come musulmani sciiti, quando sentiamo il dolore dei nostri fratelli che soffrono siamo veramente musulmani”, dice Rafael, argentino che si trova da 4-5 mesi in Italia ed è la prima volta che passa il Ramadan fuori dal suo paese. Mentre il mondo è distratto dal Campionato di calcio, lui prega insieme agli altri per la pace. “Ci sono molti giorni nei quali crediamo di non riuscire a digiunare, ma se pensiamo che è lo sforzo che serve ad avvicinarsi a Dio e a noi stessi, resistiamo. In tanti posti del mondo soffrono la fame, il nostro pensiero è di stare vicino ai meno fortunati”, aggiunge Ibrahim, romano convertito all’islam, al suo decimo Ramadan.

“Secondo il nostro profeta, in questo periodo le porte del paradiso sono aperte sempre”, racconta l’imam Shaykh Abbas Di Palma. “Così abbiamo deciso anche noi di aprire le porte 24 su 24: c’è chi viene per fare le preghiere notturne, verso le tre mangiamo qualcosa, chi vuole dorme”. Nella sala grande arrivano i ragazzi: sono stanchi dopo una giornata di lavoro, si siedono per terra in attesa dell’interruzione del digiuno. La sala della preghiera per le donne e più piccola, divisa da una tenda nera da quella per gli uomini. Dietro ad un’ altra tenda alcuni ragazzi tagliano la verdura. L’odore della cipolla fritta mi fa lacrimare gli occhi. Nel silenzio assoluto inizia la lezione dell’imam sulla cattiveria: invita gli ascoltatori a verificare tutte le notizie e i fatti prima di dare un giudizio sulle persone. Poi un membro del centro mi dice di andare nella stanza delle donne, inizia la preghiera.

“Il miglior tempo per parlare con il Signore è la notte, il miglior mese è il Ramadan, chiedere il perdono, la forza e l’energia di andare avanti è importante soprattutto nelle ultime 10 notti”, continua i l’imam Shaykh Abbas Di Palma. Per l’iftar – l’interruzione del digiuno – si poggia per terra un pezzo di carta bianca come tovaglia, i volontari passano i piatti e iniziano tutti a mangiare. Sono alcune decine, provenienti da più paesi, diversi per l’età e livello sociale. “Nel mese del Ramadan diciamo che siamo invitati al banchetto di Dio, lui ci dà il suo cibo. L’invito è mangiare il cibo dell’anima”. Dopo l’iftar, si continua a pregare o a leggere il Corano. L’imam salta la cena per raccontarmi del centro: è aperto tutti i giorni tranne il lunedì. “Nel mese di Ramadan ogni sera offriamo un pasto, nel corso dell’anno diamo quattro pasti alla settimana: cucina afgana, pachistana, italiana, secondo le possibilità. I fratelli si danno molto da fare con il volontariato, ovviamente si viene pagati da Dio”.
L’associazione islamica Imam Mahdi dal 2005 è un punto di ritrovo per fratelli di vari culture. L’attività comprende tre settori: devozionale, del culto, della preghiera, si organizzano programmi religiosi, festività. Altro motivo d’incontro è legato alle problematiche sociali: molte persone vengono a parlare della mancanza del lavoro, di un posto dove dormire. E poi ci sono le iniziative culturali: si traducono e pubblicano libri religiosi, nella sede si trova una libreria multilingue aperta a tutti.
Raisa Ambros
(15 luglio 2014)
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