Al ritmo di tamburi e trombette, fra bandiere che sventolano ed il fischio d’inizio prende il via la finale del Mundialido che si è disputata lo scorso 4 luglio nel quartiere romano di Ostiense. Sugli spalti si respira aria di festa e i tifosi improvvisano coreografie e canti. In campo l’Ucraina e il Capo verde si sfidano per portare a casa la Coppa del Presidente della Repubblica Italiana. “Dai papà, dobbiamo vincere!”. Ad urlare è Oleg, 4 anni. “E’ molto emozionato di vedere giocare suo padre” racconta Anna, la mamma, arrivata in Italia 5 anni fa. ”Sono venuta in vacanza a Roma e ho trovato l’amore. Anche mio marito è ucraino, ma lui è cresciuto qui e non vuole più tornare nel nostro paese. Ogni volta che ci troviamo in Ucraina si sente straniero”. L’espressione del viso di Anna cambia quando le chiediamo della situazione che sta attraversando il suo paese negli ultimi anni. “Ho tutti i miei parenti in Ucraina e vorrei tornare da loro, ma adesso non è possibile. Non c’è pace, né modo di vivere in tranquillità. Li sento spesso e mi raccontano che la situazione è difficile. Io, invece, mi trovo molto bene in Italia e mio marito mi ha aiutato sia con la lingua che con i servizi che offre la città, anche se adesso siamo alla ricerca di un asilo nido per il piccolo Oleg”. E così, lasciamo ad Anna un volantino del laboratorio Infomigranti con la mappatura di tutti i servizi gratuiti per gli stranieri nel II Municipio.
Come Anna, anche Svetlana vorrebbe tornare in Ucraina: “Sento i miei parenti ma ho perso il filo della guerra. Ormai non chiedo più come vanno le cose lì perché so che la gente continua a morire ed ogni volta, quando attacco il telefono, sto male. Le cose non migliorano e la speranza diminuisce”. Svetlana è arrivata 10 anni fa in Italia. “Ho scelto Roma perché avevo parenti qui, anche se i miei genitori sono rimasti in Ucraina e non vogliono lasciare il paese”, racconta con un nodo in gola.
All’improvviso si sente il fischio finale e sugli spalti gialloblu scoppia la festa. L’Ucraina ha vinto 2-1 contro il Capo Verde e i giocatori alzano la coppa al cielo con entusiasmo e speranza. La stessa speranza con la quale sognano che un giorno, non troppo lontano, nel loro paese alzino le mani dalle armi per mettere fine ad una guerra nella quale, secondo l’ONU, oltre 5 mila persone hanno perso la vita e più di 13 mila sono rimaste ferite.
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Cristina Díaz Gómez(8 luglio 2015)
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