A28, un luogo dove l’indifferenza è bandita

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Il centro A28 di Intersos, “porto sicuro” per i minori non accompagnati che trovano una casa per trascorrere la notte. Photo credits: intersos.org

Ci sono persone esposte ad una estrema visibilità mediatica. Si parla costantemente di loro e in termini diversi: minori non accompagnati, immigrati, transitanti e via dicendo. Vengono fotografati, ripresi, intervistati, seguiti. Eppure sono invisibili. A28 è un luogo dove l’indifferenza è bandita.

La cena è quasi pronta. “Oggi il menù prevede  insalata di riso, patate al forno, wurstel di tacchino e pollo.” Claudia ha 24 anni, studia cooperazione internazionale e sviluppo ed è la referente del Comitato Intersos Roma. Alessandra studia Relazioni Internazionali. Per lei è il primo giorno a Intersos ma il volontariato da tempo fa parte della sua vita.  “Per me è uno strumento che aiuta a comprendere la realtà. Non solo, è anche un metodo per educare. In giro c’è molto menefreghismo.” Le ragazze si trovano nel centro A28 per minori in transito impegnate a preparare la cena.  “Con questa iniziativa cerchiamo di supportare il lavoro degli operatori del centro.” afferma Claudia. L’attivista continua spiegando che il Comitato si occupa anche della diffusione e sensibilizzazione su temi umanitari e subito cita con entusiasmo la petizione Europasenzamuri promossa da Intersos.

Arrivano i ragazzi ed anche il mediatore. Le attiviste se ne vanno. Vogliono rispettare l’intimità dei giovani migranti. A28 è la casa dove rientrare. “Non sono contento di aver lasciato i miei genitori da soli. Tutti i miei fratelli sono già in Europa da tempo.” Spiega  Yonas. “L’Eritrea non è in guerra ma lì purtroppo non sarei libero.”  Yonas racconta  che ha deciso di lasciare la scuola per lavorare. In Eritrea suo padre insegna matematica ma non viene pagato. “Per strada puoi essere fermato in qualunque momento dai soldati. Non avendo più il tesserino di scuola sarei stato portato via per fare il servizio militare. Non volevo imparare a sparare. In Italia il servizio militare è obbligatorio?” Quando scopre che non lo è più il suo volto si bagna di un misto di amarezza e approvazione. “Se solo funzionasse così nel mio paese non mi sarei mosso.”Non c’è solo il dramma nei loro volti. C’ è la voglia di cominciare una nuova vita. C’è un forte senso di responsabilità verso le famiglie rimaste in Eritrea.“Imparerò un mestiere e lavorerò per aiutare la mia famiglia. Tutti hanno riposto molte aspettative su di me” spiega Efrem.

Si fa tardi, il mediatore fa presente ai ragazzi che l’indomani la sveglia è di prima mattina. Si scambiano un sorriso e si ritirano.

Non c’è filo spinato che tenga. Ascoltando le loro parole viene in mente che la ricerca di una vita migliore possa abbattere qualsiasi muro, anche quello dell’indifferenza, quello dell’odio e del separatismo. A28 è la traduzione di tutto questo.

Sara Gomida

( 20  luglio 2016)

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