Rifondare l’identità europea: dall’EastForum un appello all’Europa che verrà

east forum 2016

Brexit, il terrorismo internazionale, l’identità europea e il futuro dell’accoglienza. Sono questi i temi che hanno dominato l’edizione 2016 dell’East Forum, l’evento annuale organizzato dalla rivista EastWest e da Unicredit con la partnership dello European Council of Foreign Relations. Un appuntamento fisso per esperti e appassionati di politica internazionale, che quest’anno, al termine di un periodo denso di eventi a livello mondiale, si è focalizzato su una serie di nodi cruciali: il “problema” immigrazione, la valutazione delle emergenze, la sicurezza nazionale, l’economia degli Stati, le opportunità che i flussi migratori nascondono (o svelano) in sé.

La scossa che Brexit ha dato all’UE è stata irrimediabilmente avvertita da tutti gli stati membri. Eppure “è anche un’opportunità per riaccendere l’ideale europeo”, secondo il Presidente di Unicredit Giuseppe Vita, per potersi dire non più italiani, francesi o spagnoli, ma semplicemente europei. Proprio come chi viene dagli USA: “Se incontri un cittadino statunitense e gli chiedi da dove viene, lui ti risponde solo: sono americano”.

“Quella dei rifugiati è un’emergenza, non una crisi”. Stephane Jaquemet, dall’osservatorio dell’UNHCR ha dalla sua i numeri: “un milione di rifugiati dal nostro punto di vista non è un’emergenza. E il problema non sono i rifugiati, ma l’identità europea“. La convinzione che sia necessario un piano comune a livello legislativo sembra essere il punto focale anche secondo gli altri speaker. Domenico Manzione, Sottosegretario al ministero dell’Interno, parla della necessità di un “resettlement” dei fondi anche a livello extraeuropeo. “In Turchia ci sono 2.5 milioni di rifugiati. Se vengono a mancare i fondi per medicinali, acqua e viveri si creano necessariamente le condizioni per una fuga verso la Grecia”. Porta di ingresso, questa, ad un’Europa in cui la crisi non si arresta: “anche i paesi più aperti all’integrazione come la Germania o la Svezia hanno dato vita a leggi restrittive: sembrano risposte eterogenee ma non lo sono, ecco perché è necessaria una politica comune”.

Tra gli ospiti c’è İsmail Yeşil, a parlare del recente accordo stretto con la Turchia. La domanda è: gli hotspot possono essere una soluzione? Letizia Petruccione dal pubblico chiede di intervenire, il suo è il punto di vista di Save The Children. Ricorda che in questi centri vengono a crearsi per famiglie e bambini immotivate situazioni di stallo. E che il limbo può durare fino a due anni, anche solo per avere una risposta alle richieste di asilo: “ci saranno rimpatri verso la Turchia, dove non sappiamo quale sarà il futuro di queste persone. Lì non ci sono rifugiati, ci sono bambini. E vanno protetti prima di tutto”.

Protezione. Sicurezza. Sono parole che rimbalzano fra le mura della sala, accanto a cyber. Perché se la protezione fisica è complessa da gestire, quella informatica è ancora più labile. “Per i terroristi la comunicazione è fondamentale” spiega il procuratore antimafia Franco Roberti, e per questo il monitoraggio dei flussi di informazione e denaro è una spia di eventuali minacce: “dopo l’11 settembre si sono registrati forti flussi di money transfer prima di ogni attentato”. Da considerare anche le relazioni che si stringono a livello internazionale: “alcuni paesi del Golfo si dichiarano contro il terrorismo ma lo sostengono” e il controllo delle conversazioni tramite accordi con i provider. Un rischio per la privacy? “Una misura temporanea”.

“Europa della paura” è l’espressione coniata invece da Romano Prodi. Da sempre europeista convinto, Prodi individua nella rifondazione di un’identità europea l’unica via d’uscita alla crisi: soluzione solo in parte economica, molto politico-sociale. Mancano interlocutori con cui relazionarsi dall’altra parte del Mediterraneo, soluzioni politiche per affrontare i flussi migratori, attenzione alle disuguaglianze sociali, ormai preda del populismo: e sulla Brexit “stiamo andando verso il suicidio”, chiosa. Per resistere alla globalizzazione che spinge alle porte l’unica soluzione è ritrovare un’armonia fra stati membri, ricreare l’Europa.

Resta solo un punto da vagliare: l’economia europea può beneficiare dei nuovi arrivi? Probabilmente sì, a patto di attuare politiche comuni per dare sicurezza agli investitori e arginare l’errata percezione dei dati: “C’è una sovrastima dei numeri relativi agli arrivi dei migranti da parte della popolazione” spiega Jean-Cristophe Dumont dell’OCSE, che parla di un “gap di conoscenza” sul tema. Come ricorda Erik Nielsen, in fondo, “in Europa le nazioni più contrarie ai migranti siano proprio quelle in cui ce ne sono di meno”.

Veronica Adriani

(20 luglio 2016)

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