Piazzale Maslax: dove le istituzioni e le speranze falliscono

Piazzale Maslax - Foto di GMA
Piazzale Maslax – Foto di GMA

Cresce il numero di migranti a Piazzale Maslax

Piazzale Maslax a Roma è un girone infernale. In uno spiazzo di cemento 300 dannati tra cui donne e bambini, transitanti, migranti non inclusi in nessun circuito d’accoglienza, senza fissa dimora, hanno trovato un posto dove accamparsi. I volontari di Baobab Experience che, da undici mesi operano nell’area di proprietà delle Ferrovie dello Stato, cercano di rendere più sopportabile la permanenza offrendo pranzi e cene, assistenza legale, brevi lezioni di italiano. Resistono, ogni giorno, fino all’imbrunire. “Di notte noi volontari non ci siamo, più che altro la sera servirebbe una camionetta di forze dell’ordine”, dice Andrea Costa, attivista di Baobab Experience. Lasciando intendere che al calare del sole la situazione peggiora.

Da circa tre settimane il piazzale si è riempito: 4 file disordinate di tende lasciano liberi solo due corridoi sui lati e uno spazio sul fondo dove giocare a basket o a calcio. In questo campo poco distante dalla stazione Tiburtina convivono forzatamente nazionalità, problemi, esigenze. Tutte diverse. In un contesto come questo essere fianco a fianco non è un modo per supportarsi, ma causa di esasperazione. Vengono dal Sudan, dall’Eritrea, da diversi paesi nordafricani e c’è anche qualche italiano. “Da quando hanno chiuso il centro di Via Ramazzini gestito dalla Croce Rossa, 20 ospiti si sono spostati qui”, dice Andrea.

La storia di Amin: a Piazzale Maslax dopo gli ostelli e il centro di Via Ramazzini

Amin∗ è uno di questi. Trascina le parole e mischia la parlata romana a quella marocchina: “Sono trentuno anni che sto qui, negli anni 80 l’Italia era un’amore. Quando sono arrivato ero un ragazzo: viaggiavo tanto. Poi ho conosciuto la mia ex moglie e sono rimasto qui”. Ora ha 52 anni: “io mi vergogno”. Faceva una vita diversa , Amin, ha lavorato come attore e modello, girava il mondo, frequentava ambienti altolocati: “Ma questo mondo mi ha rovinato”, dice. Alle spalle ha due mogli e tre figli, una pizzeria chiusa e riaperta un paio di volte, un’esperienza come chef in Francia e una laurea breve in lingua.

“Fino a quarant’anni mi sentivo un Dio”. La cocaina gli ha consumato tutto: i soldi, il lavoro, l’amore. “Sei anni fa sono andato a vivere da solo. Dopo quattro anni ho smesso di pagare l’affitto e dopo due mi hanno sfrattato“. È passato dall’ostello di via Marsala alla strada e poi al centro di via Ramazzini, per tutto il periodo in cui è stato aperto.

“Era brutto. Come qua”. Poi si corregge: “Come situazione, intendo. La cosa diversa è che dopo mezzanotte li c’erano sempre le guardie giurate e il cibo era buonissimo. Qui la notte cacciano i coltelli, volano le sedie, tornano ubriachi e non dormi. E poi il cibo è indecente, il riso bianco con un po’ di pane. Per carità, i volontari fanno tanto. Ma io non sono abituato, mangiavo le aragoste”.

Amin sta cercando un lavoro, l’ultimo risale a tre anni fa: “facevo il pizzaiolo durante il fine settimana”. “Non è vero che al centro CRI ci aiutavano a trovare lavoro, di 200 neanche uno ne hanno aiutato per quello che ho visto io”. Mentre parla cammina tra le tende: “Si diventa pazzi tutto il giorno qua dentro”. E piazzale Maslax è pieno di sguardi vuoti, come il suo.

Dove finiscono le speranze

La disperazione è ovunque: nel té bollito in un barattolo di latta in bilico su una traversa di legno, nei piedi lavati sfregandoli sull’asfalto, nei tagli paralleli sulle braccia degli uomini che se li procurano “per non ferire altri uomini”. Una donna tiene in braccio Eléna, 5 mesi. Metà della sua vita l’ha vissuta in questo piazzale, ed è una delle poche che riesce ancora a sorridere.

Insieme a lei, fa eccezione un gruppo di ragazzini eritrei che si divertono a provare il suono dell’italiano: ciao, buonasera, come stai?. Sono in Italia da 10 giorni e nell’accampamento da tre. Per un attimo sembra di tornare a via Cupa, dove i volontari di Baobab riuscivano a difendere la speranza di un’Europa che accoglie. Ma a Piazzale Maslax non c’è speranza: le istituzioni falliscono e il volontariato non è abbastanza.

∗nome di fantasia

Rosy D’Elia
Fotografie di GMA
16 maggio 2018

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