Solidarietà come costruzione sociale tra soggetti diversi

Nel suo libro Umanità in rivolta Aboubakar Soumahoro dà voce al bisogno di giustizia sociale per l’affermazione dei diritti di tutti

Nelle parole di Soumahoro la solidarietà torna a essere un valore non solo individuale ma di un’intera collettività che voglia difendere i diritti fondamentali di tutti gli esseri umani contro un modello economico che alimenta l’ingiustizia sociale. È nella costruzione di una nuova coscienza collettiva che immigrati e italiani possono trovare la prospettiva per un mondo migliore.

presentazione del libro di Aboubakar Soumahoro con Concita De Gregorio
Concita De Gregorio presenta il libro di Aboubakar Soumahoro

Questo il messaggio che Aboubakar Soumahoro, cittadino italo-ivoriano, sindacalista USB, affida al suo libro Umanità in rivolta. La nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità, presentato l’11 aprile alla Feltrinelli della Galleria Sordi insieme a Concita De Gregorio. Una presentazione affollata di pubblico, soprattutto giovani che con le loro domande l’hanno trasformata in un’occasione per rivelare il grande bisogno che c’è di una politica capace di dare risposte ai bisogni materiali e di risvegliare speranze nel futuro.

La disumanizzazione è funzionale al modello economico

Le manifestazioni di intolleranza e razzismo verso gli immigrati sono un modo per distogliere dai grandi temi che la complessità ci pone e non si ha la capacità di affrontare: meglio prendersela con chi ha un diverso colore della pelle o con il rom piuttosto che dire come risolvere i problemi del lavoro, della casa, del trasporto pubblico ecc. Il “prima gli Italiani” è semplicemente uno slogan per mascherare questa incapacità.
Possiamo ritrovare la nostra umanità – dice Soumahoro – solo attraverso la consapevolezza che viviamo in un mondo in cui le ingiustizie sociali sono cresciute a causa di un modello economico che riduce l’essere umano a merce. Dal bracciante africano al rider che porta le pizze in bicicletta, dalla badante straniera al giornalista precario, tutto il mondo del lavoro è stato atomizzato e i lavoratori indeboliti, fino a rendere invisibili migliaia di persone che vivono ai margini della società. Marginalizzazione e riduzione in schiavitù sono interne al modello di sviluppo dominante, qui è da ricercare la causa della disumanizzazione presente in una tendenza culturale. Gli immigrati sono tra gli strati più deboli della società e ne vengono colpiti di più, ma è l’intera società che sta perdendo i suoi connotati di comunità umana.

La biografia di Soumahoro, testimonianza di una liberazione

È la sua stessa biografia a testimoniare come un’esperienza di vita sfruttata, a volte umiliata possa trasformarsi in un progetto di futuro non solo per sé stessa e per gli immigrati ma anche per tutti coloro che subiscono condizioni di vita e lavoro non degne della condizione umana: da bracciante a dirigente sindacale con un percorso di studi – laurea in Sociologia e letture personali – Soumahoro ha fatto parlare di sé come di un nuovo Giuseppe Di Vittorio.
La nipote di Di Vittorio, Silvia Berti, intervenuta alla presentazione, ha raccontato di aver voluto conoscere Soumahoro perché nella capacità di quest’ultimo di tradurre i problemi della propria esperienza di lavoratore in proposta generale dentro una dimensione europea ha ritrovato l’eredità di suo nonno. E il carattere esemplare del linguaggio e dell’operato di Soumahoro risalta ancor più nel panorama politico e sindacale italiano, in cui mancano voci che sappiano davvero rappresentare i bisogni e le aspirazioni di tanti; “da tanto tempo – ha detto Concita De Gregorio dopo il racconto che l’autore ha fatto del suo percorso – non sentivo questo parlare politico”.

Umanità in rivolta: libro di A. Soumahoro
Umanità in rivolta. Copertina

Dire di no alla disumanità, come l’uomo in rivolta di Albert Camus

Umanità in rivolta. La nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità: nel titolo del libro di Soumahoro c’è il richiamo alla prospettiva in cui porsi per sottrarsi al processo disumanizzante in atto e per costruire una società più giusta. La difesa dei diritti umani fondamentali è la bussola che può guidare verso la liberazione e la realizzazione di sé stessi, ma bisogna ribellarsi e “dire di no” a un sistema che divide gli uomini in categorie titolari o meno di diritti a seconda del colore della pelle, dell’etnia, dell’appartenenza sociale o religiosa.
Per questo l’accoglienza dei migranti deve essere sentita come un dovere per una società rispettosa dei diritti di tutti, come ha dimostrato Mimmo Lucano, che ha rivitalizzato il Comune di Riace, un’esperienza modello che ha svelato tutta l’infondatezza di una propaganda che vede il migrante come minaccia. Si è fatto di tutto per demolirla, ma resta ciò che quell’esperienza insegna e cioè che i migranti non sono solo braccia da utilizzare o disperati da assistere, ma sono una risorsa per la collettività e che laddove c’è una comunità che accoglie la vita migliora per tutti.

Luciana Scarcia
(13 aprile 2019)

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