Un cartello di benvenuto in diverse lingue, dall’arabo al cirillico, accoglie chiunque entri al Centro Pedro Arrupe, a Roma, rifugiati, minori stranieri non accompagnati, donne con bambini, volontari, operatori. “Siamo multiculturali, lo potete vedere anche dalle scritte all’ingresso”, esordisce la coordinatrice Suor Paola che, durante la festa di Open day organizzata il 14 settembre, fa gli onori di casa.Quello che un tempo era un ferrotel, per le soste dei viaggiatori, da circa 20 anni è diventato un centro di accoglienza, gestito dal Centro Astalli. In Via di Villa Spada si accede identificandosi ai tornelli di ingresso, presidiati da un addetto. È un quartiere ferroviario, a delimitarne i confini sono i binari. La struttura ha tre aree: una casa-famiglia per donne; uno spazio per le famiglie rifugiate e uno per i minori stranieri non accompagnati. “Sono circa 50 persone in tutto”, spiega Padre Alessandro Manaresi, presidente della Fondazione Astalli. “È uno spazio condiviso con famiglie di ex ferrovieri e altri centri di accoglienza, ci sono buoni rapporti di vicinato ma purtroppo è un posto prevalentemente isolato, con pochi servizi”.
Centro Arrupe, il binario dell’accoglienza che porta verso l’autonomia
Nonostante ciò, il Centro Pedro Arrupe è un posto vivo: il giardino che affaccia sui binari per la festa di fine estate è affollato di volontari, di operatori, di amici di amici, di persone che vengono da tutto il mondo. Sembra una festa di quartiere, dove ognuno ha fatto la sua parte e tutti sono i benvenuti. Accogliere, integrarsi, vivere insieme sembra una cosa semplice. Ma i tagli, le novità, la rigidità delle ultime politiche migratorie sono arrivate anche in Via di Villa Spada.”Viviamo con maggiore incertezza il futuro”, spiega padre Alessandro. “E in alcuni casi siamo dovuti correre ai ripari, soprattutto con chi è in protezione umanitaria”, uno status che non è più previsto dalla legge. Le soluzioni, di volta in volta, sono arrivate grazie alla collaborazione con le persone locali. Non ci sono dubbi: “l’accoglienza dal basso funziona, le persone vengono, offrono i loro servizi”.L’ingrediente che fa la differenza nel modello di accoglienza del Centro Astalli è l’accompagnamento nelle fasi di uscita dalle strutture: si lavora fin da subito per la costruzione di due pilastri, il lavoro e la casa. “Se serve, qualche volta facciamo da garanti perché è nell’interesse di tutti”, aggiunge padre Alessandro.
Centro Arrupe, i minori stranieri non accompagnati e la sfida della maggiore età
La sfida dell’autonomia è ancora più complessa nel caso dei minori stranieri non accompagnati. Ed è un impegno a cui ragazzi e operatori devono dedicarsi da subito. “Solitamente abbiamo 3-4 anni di tempo per renderli autonomi. Facciamo in modo che prendano la terza media e che intraprendano un percorso di formazione lavorativa”, spiega Timoteo Crispolti che opera con i MSNA all’interno del Centro Arrupe.”Con le nuove politiche introdotte dal Decreto Salvini, i minori sono i più tutelati. In un certo senso potevano non esserci difficoltà ma sappiamo che il vero problema è la grande incertezza, su dove far proseguire il percorso ai maggiorenni”, secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sono 6492 i minori stranieri che sono diventati, o che diventeranno, maggiorenni nel 2019 rischiando di uscire dal circuito dell’accoglienza.”Mustafà è già pronto per diventare maggiorenne“, dice Timoteo con fierezza. “Lavora in un vivaio e ha un contratto di apprendistato“. Ha 17 anni e da 3 anni e mezzo vive al Centro Arrupe, da quando è partito dall’Egitto. Alla festa ci sono anche i suoi datori di lavoro, e taglia corto la conversazione: “non posso lasciarli soli”.C’è anche suo fratello in Italia, ma non ha fatto lo stesso percorso, è uscito dal circuito di accoglienza prima di aver costruito una rete esterna forte. “Il periodo a disposizione è fondamentale”, dice Timoteo. “La prima sfida da affrontate, insieme, riguarda i tempi e il mandato con cui vengono dalla famiglia. All’inizio è difficile rendersi conto che prima c’è bisogno di andare a scuola, poi formarsi al lavoro e poi si comincia a guadagnare”.Anche Mustafà è arrivato con un mandato preciso e per volontà di altri: “Non ho scelto io di venire qui, hanno deciso mio padre e mio fratello, io l’ho saputo dopo”. E nonostante stia diventando adulto in un posto che non ha scelto, ci tiene a precisare: “questa è la città più bella, la gente è bella e accogliente. Io ringrazio tutti”.
Rosy D’EliaFotografie di Gma(24 settembre 2019)
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