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Home Cultura Anime Migranti, corpi e danza contro i pregiudizi
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Anime Migranti, corpi e danza contro i pregiudizi

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    Immagine tratta dal video di presentazione di Anime Migranti 2018

    Anche quest’anno Anime Migranti di Fernando Battista, un progetto di DanzaMovimentoTerapia per abbattere pregiudizi, stereotipi e diffidenza reciproca, torna a coinvolgere gli studenti di alcuni licei romani e giovani migranti provenienti dai centri di accoglienza, facendoli dialogare attraverso il corpo e la danza. Un modo per supplire a quella carenza di buone pratiche di integrazione che sembrano non trovare spazio nell’agenda politica del nostro paese. Il progetto, pensato nel 2014 in seguito ai fatti di Tor Sapienza, nel corso degli anni non ha perso la sua urgenza, come dimostra il ciclico rinfocolarsi di proteste antimigranti, in ultimo quella di Torre Maura.

    Promuovere l’incontro

    Anime Migranti è un lavoro in cui ricerca e azione si coniugano in modo indissolubile: “è anche il fulcro della mia tesi di dottorato presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università Roma Tre”, spiega Fernando Battista. Alla base l’assunto che l’arte, come linguaggio universale, sia uno strumento prezioso per superare le barriere linguistiche e culturali tra le persone e costruire contesti interculturali.Il progetto, che nelle precedenti edizioni aveva interessato l’I.T.T. Livia Bottardi, quest’anno si espande fino a coinvolgere due licei romani, l’Amaldi di Tor Bella Monaca e il Kennedy al Gianicolo: “un modo per promuovere l’incontro tra studenti e migranti, ma anche tra centro e periferia”. Partirà il 16 gennaio e interesserà per primi gli studenti delle classi IV del liceo Amaldi, impegnati in 7 incontri pomeridiani fino a febbraio, per poi passare ai ragazzi del liceo Kennedy.https://www.youtube.com/watch?v=LKhbk79Rdi4&app=desktop

    Il racconto di Salimù

    I testimoni più autorevoli per raccontare il valore di Anime Migranti sono senza dubbio coloro che ne sono stati protagonisti. Tra questi Salimù Diakite, ventenne ivoriano oggi orgoglioso chef in un ristorante romano, che vi ha preso parte tre anni fa, allora ospite di un centro di accoglienza. “Quando sono venuto qui a Roma volevo parlare, chiacchierare, ero molto curioso. Ho deciso di partecipare al laboratorio perché volevo conoscere nuove persone”. Salimù racconta come spesso sia molto difficile soddisfare questa esigenza, soprattutto se sei povero e la tua pelle è nera: “Una signora sul tram mi ha detto che noi immigrati siamo delinquenti, ma sono molti quelli che pensano che siamo pericolosi. Io ho lasciato il mio paese quando avevo 15 anni: l’Italia la conoscevo solo dalla scuola. Per venire qui, sono passato per la Libia dove sono rimasto in prigione per quasi un anno. Sono uscito solo perché mi hanno venduto ad un libico che mi ha fatto lavorare per mesi nei campi senza pagarmi mai. Quando mi ha lasciato libero sono andato al porto e sono salito sul gommone. Il mare tutt’intorno e tu non ti puoi neanche muovere. Che pericolo posso essere io?”

    Silvia Proietti
    (27 novembre 2019)

    Leggi anche:

    • DesertoMare: incontro con Fernando Battista 
    • Anime migranti: la danza che unisce
    • Activate Talks: giovani insieme contro l’hate-speech

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