Settembre e genitori: oltre la DAD la scuola che verrà

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È fissata per oggi 8 giugno, ultimo giorno di questo inusuale anno scolastico e data dello sciopero lanciato dai maggiori sindacati del settore scuola, la manifestazione “Apriti scuola!” promossa da comitati di genitori e insegnanti di vari istituti della Capitale, aprifila di una serie di analoghe iniziative in programma in altre città italiane. Una mobilitazione nata per chiedere che dalle ceneri di questi mesi di chiusura delle aule e didattica a distanza possa nascere una nuova idea di scuola.

Genitori: l’esigenza di mobilitarsi

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La locandina dell’evento

Esasperati dalla cancellazione dallo spazio pubblico dei bambini e degli adolescenti noi rappresentanti dei genitori ci siamo riuniti in rete, sotto la spinta di due delle associazioni più grandi, l’AG Di Donato (Piazza Vittorio) e l’AG Scuolaliberatutti (Garbatella). Ci siamo confrontati, la rete è cresciuta sempre di più fino a comprendere ben 38 associazioni, comitati e gruppi spontanei di genitori, realtà del terzo settore e municipi che ci appoggiano e concordano con i nostri intenti. Credo che sia la prima volta che tante associazioni e comitati dei genitori siano riusciti ad unirsi per portare delle istanze comuni”, spiega Francesca Morpurgo, presidente dell’Associazione Genitori dell’IC Falcone Borsellino.
Uno dei nodi sollevati dai promotori della manifestazione è quello delle direttive ministeriali che sembrano proporre soltanto linee guida di massima sul piano organizzativo senza entrare nel cuore delle questioni. “Allo stato attuale sembra certo che, se qualcosa verrà fatto, riguarderà soltanto la riorganizzazione di tempi, luoghi e spazi, lasciando il problema della concretizzazione delle direttive ai singoli dirigenti ed enti locali, dietro la scusa dell’autonomia. Ma si tratta di uno scarico di responsabilità bello e buono”, continua, “Quello che noi proponiamo, invece, è un reale ripensamento del modo di fare scuola, adeguandolo all’emergenza in corso. Non vogliamo solo rientrare a scuola ma vogliamo rientrarci in modo degno, senza sacrificare ore di apprendimento e riaffermando il diritto ad una socialità positiva ed arricchente per formare persone e non discenti.”
Le esigenze di miglioramento della scuola vengono a scontrarsi con la scarsità di risorse messe in campo per l’istruzione, come denunciano da tempo presidi, sindacati, enti locali e associazioni di settore. “Mentre si parla di gruppi classe più piccoli nella realtà dei fatti stanno riducendo l’organico o al meglio stanno confermando quello dell’anno scorso: senza stanziamento di adeguate risorse non ci può essere aderenza tra parole e fatti. Il nostro più forte timore è che si giochi al ribasso, presentando soluzioni, magari fattibili stanti le risorse stanziate, che andrebbero a sancire la morte definitiva della scuola”.
Il rischio, in assenza di chiare e puntuali direttive ministeriali, è che si ripropongano quelle differenziazioni tra i diversi istituti che hanno caratterizzato il periodo della DAD.La DAD ha accentuato le differenze fra scuola e scuola, classe e classe, insegnante e insegnante: moltissimo è dipeso dall’iniziativa e dalla volontà individuale, secondo me indice di una grande ingiustizia. La mia stessa esperienza di genitore di due figlie, iscritta una alle scuole elementari e l’altra alle medie, mi ha fatto rendere conto della grande eterogeneità di questa esperienza. Per gli studenti più fragili, invece, è stata una vera e propria caporetto: ci sono bambini che sono regrediti paurosamente, anche perché tutto è stato lasciato alla libera iniziativa degli insegnanti e inoltre molti servizi di sostegno erogati dal Comune hanno chiuso durante il lockdown.”

Genitori stranieri alle prese con la DAD

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Tra coloro che più hanno subito gli effetti negativi della chiusura delle scuole rientrano senza dubbio gli alunni stranieri. Difficoltà di comunicazione con le scuole e scarsa conoscenza della lingua italiana hanno fatto sì che molti di loro siano rimasti all’oscuro dell’inizio delle lezioni online, seguite alla chiusura delle scuole a marzo. “Per diversi giorni dopo l’inizio del lockdown le mie figlie sono rimaste senza scuola. Poi per fortuna un’operatrice dello sportello di sostegno linguistico della Caritas che ci aiuta ci ha avvisato dell’inizio delle lezioni a distanza”, racconta Nayomi, 44 anni dallo Sri Lanka, in Italia dal 2017 con le figlie Naviwbika e Maria, 16 e 13 anni, iscritte all’IC Parco di Veio.
In altri casi è soltanto grazie all’iniziativa di molte insegnanti se le scuole sono riuscite a mantenere i contatti con le famiglie di alunni che più avevano bisogno di supporto. Una disponibilità che si è rivelata spesso decisiva quando si è trattato di usufruire della possibilità di far richiesta ai diversi istituti scolastici dei dispositivi elettronici in comodato d’uso per seguire la DAD, secondo quanto stabilito dal Decreto Scuola dello scorso 6 aprile. “È stata un’insegnante di mia figlia Roshini ad informarmi della possibilità di richiedere alla scuola un dispositivo elettronico per seguire le lezioni online”, racconta Savita Rani, arrivata in Italia dall’India a maggio 2019 insieme alle due figlie Kavita Lal e Roshini Rani, 13 e 8 anni. “Il giorno dopo aver inoltrato la richiesta, mi è arrivato a casa un Chromebook, che le mie figlie utilizzano alternativamente. Purtroppo però non ci è stata fornita alcuna connessione internet e per questo ci siamo dovute arrangiare con i dati del mio cellulare.”
Anche Nayomi ha fatto richiesta di un dispositivo elettronico alla scuola, privo anche in questo caso di connessione internet. “ll computer alla scuola ci è arrivato dopo un paio di settimane senza rete internet. Per diversi giorni, prima di andare al lavoro, sono stata costretta a lasciare il mio cellulare a casa, l’unico dotato di connessione dati, per permettere alle mie figlie di seguire le lezioni, Maria da computer e Naviwbika da cellulare. Ad un certo punto ho deciso di acquistare una connessione wifi perché non potevo stare fuori casa impossibilitata a chiamare le mie figlie rimaste a casa senza di me: spesso sono stata costretta a chiedere di poter utilizzare il telefono ai proprietari delle case presso cui lavoravo come addetta alle pulizie.”

Lezioni a distanza: eterogeneità di offerta e risultati

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L’assenza di precise direttive ministeriali ha generato una proliferazione di piattaforme di erogazione delle lezioni online, differenti da istituto ad istituto e spesso da docente a docente. Anche l’avvio e la frequenza delle videolezioni sono risultati decisamente non uniformi, come già illustrato dall’indagine condotta dalla Comunità di Sant’Egidio su 44 scuole primarie della Capitale.
Maria e Naviwbika, le due figlie di Nayomi, soltanto un paio di settimane dopo la chiusura delle scuole hanno avuto la possibilità di seguire la didattica online, articolata in circa 2 o 3 videolezioni al giorno prevalentemente mattutine, erogate attraverso la piattaforma Classroom. Spesso alcuni docenti hanno assegnato e corretto compiti via mail.
Le videolezioni non sono iniziate subito neanche per i quattro figli di Malak, arrivata in Italia dall’Egitto 15 anni fa, e madre di 4 figli: Yehia di 15 anni, Mohamed di 10, Yasin di 6 e Talia di 5, tutti iscritti in vari istituti del III Municipio, dove risiedono. “Le lezioni a distanza sono iniziate per tutti all’incirca una settimana dopo la chiusura delle scuole”, racconta, “con una media di 2 o 3 ore al giorno di videolezioni. Ovviamente il programma didattico ne ha risentito molto, ma non si può pretendere neanche di tenere i ragazzi per 5 o 6 ore al giorno attaccati al computer”.
Un esempio positivo è rappresentato invece dall’esperienza delle due figlie di Savita Rani, entrambe iscritte presso l’IC Via Caneda, che hanno iniziato a seguire le lezioni online erogate via Zoom soltanto 3 giorni dopo la chiusura delle scuole.

Un fattore decisivo e discriminante tra un buono e cattivo rendimento in DAD risiede nella possibilità di avvalersi dell’aiuto di un genitore o di una figura di supporto nello svolgimento dei compiti o nell’utilizzo dei dispositivi elettronici, specialmente quando si tratta degli alunni molto piccoli o che presentano bisogni educativi speciali.
Nayomi non parla bene l’italiano e non ha potuto assistere le figlie alle prese con i compiti e le lezioni online. “Principalmente è stata un’educatrice assegnataci dai servizi sociali ad aiutare le mie figlie in questi mesi di scuola online, soprattutto con i compiti. Anche l’operatrice dello sportello linguistico della Caritas si è resa disponibile per ogni dubbio e perplessità, ma con la scuola non abbiamo avuto mai alcun contatto diretto”.
Neanche Savita ha potuto assistere le sue due bambine come avrebbe voluto. “Prima della pandemia lavoravo presso alcune case vacanze. La sospensione del lavoro mi ha permesso di rimanere in casa con le mie figlie, ma non ho potuto comunque esser loro molto di aiuto, pur essendo laureata in matematica nel mio paese. È poco tempo che sono arrivata in Italia e anche se comprendo abbastanza bene la lingua ho ancora difficoltà nella lettura e nella produzione orale. Per questo per ogni richiesta di chiarimenti o difficoltà con i compiti le mie figlie si sono rivolte alle insegnanti, sempre disponibili a rispondere ai messaggi o alle chiamate.

Solitudine e noia: gli alunni lontani dai banchi

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I mesi di chiusura delle scuole hanno avuto ripercussioni importanti anche sulla sfera emotiva e psicologica degli alunni costretti in casa. L’erogazione dei contenuti didattici in via telematica ha comportato per forza di cose un drastico ridimensionamento della componente relazionale, sia tra compagni di classe ma anche con i docenti, pur essenziale in un processo di apprendimento efficace.
“Allo scoppio della pandemia, con la chiusura delle scuole mi sono ritrovata la casa piena: i figli più grandi, per di più, dopo i primi giorni hanno iniziato ad annoiarsi”, racconta Malak. “Più che problemi strettamente didattici – tutti i miei figli sono nati in Italia e hanno sempre frequentato le scuole qui – è stato l’aspetto psicologico il più difficile da affrontare. Nessuno di loro prima della pandemia amava particolarmente andare a scuola: con il passare del tempo però ha cominciato a mancargli sempre di più”.
Anche Savita Rani è dello stesso parere. “Devo ammettere che la possibilità di proseguire la scuola da casa mi ha molto tranquillizzata come mamma: nei primi mesi di pandemia è stata la soluzione migliore sia per gli alunni che per i docenti. La vera sfida di questi mesi senza scuola, per me, è stata tenere le mie figlie in casa: mi chiedono in continuazione quando tutto sarà finito, quando potranno tornare tra i banchi o a riprendere tutte le attività che seguivano prima della pandemia. Per loro non è stato per niente facile”.
Il ritorno tra i banchi rappresenta per molti bambini e adolescenti un’occasione unica e insostituibile di socialità, riscoperta e apprezzata come non mai dopo lunghi mesi di isolamento. “Per me questi mesi senza scuola sono stati i peggiori della mia vita”, racconta la piccola Maria, figlia di Nayomi. “Ho capito che andare a scuola è la cosa più importante del mondo. Mia madre, tutto sommato, è stata contenta della possibilità di seguire le lezioni da casa perché era più tranquilla per la nostra salute. A me, però. sono mancati terribilmente i miei compagni e la possibilità di stare tra la gente. Qui a casa mi sono molto annoiata, spesso mi sono messa a parlare allo specchio perché mia sorella non vuole mai parlare o giocare con me. Non vedo l’ora di tornare in classe a settembre, altrimenti rischio di diventare pazza”.

Silvia Proietti
(8 giugno 2020)

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