“A nessuno importa se vivi o muori”: il report UNHCR

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In questo viaggio, a nessuno importa se vivi o muori è il titolo dell’ultimo report pubblicato da UNHCR e da MMC (Mixed Migration Centre) in occasione della Giornata Mondiale delle Nazioni Unite contro la Tratta di esseri umani che ricorre, come ogni anno, il 30 luglio. Grazie a più di 16.000 testimonianze dirette si forniscono le prove delle violazioni e soprusi che i migranti sono costretti a subire durante i viaggi irregolari che, dall’Africa occidentale e orientale e dal Corno d’Africa, portano alle coste nordafricane del Mediterraneo. Indescrivibili episodi di violenza, stupri e abusi raccapriccianti, brutali omicidi ed esecuzioni sommarie, incidenti mortali e nessuna assistenza medica rendono la rotta del Mediterraneo centrale una delle più letali al mondo per rifugiati e migranti.

La rotta del Mediterraneo centrale, fonte UNHCR

Morti

“Abbiamo viaggiato per tre giorni nel Sahara per arrivare in Libia. Ci davano un po’ d’acqua solo una volta al mattino. Ci picchiavano per farci affrettare, dicendo che c’erano ladri e banditi in arrivo. I nostri fratelli cadevano e morivano di sete. Dovevi lasciarli lì. […] Anche quando gli dicevi che qualcuno stava morendo di sete, non ti ascoltavano. A loro importava solo di portarti nel luogo in cui dovevano consegnarti”.
Kidane, eritreo, intervistato da Telling the Real Story, 2019

Le cause di morte, lungo il percorso solcato dai migranti per raggiungere il Nord Africa, sono molteplici. Delle 2.204 morti segnalate nel report almeno 1.395 decessi si sono verificati fra il 2018 e il 2019, con un tasso medio di quasi 60 vite perdute al mese. Nell’arco dell’ultimo anno 70 rifugiati o migranti hanno già perso la vita, tra cui almeno 30 persone uccise per mano di trafficanti a fine maggio nella città di Mizdah, a sud di Tripoli.

Principali responsabili delle uccisioni sono i contrabbandieri (68%), i quali non esitano ad accoltellare o colpire con armi da fuoco rifugiati e migranti. I feriti vengono lasciati lungo i bordi delle strade o nel deserto, dove la disidratazione e la fame rappresentano una frequente causa di morte, così come gli “incidenti automobilistici”: se un migrante cade da un veicolo, il più delle volte viene abbandonato e lasciato morire. Lo stesso trattamento disumano è riservato anche a chi si ammala: per loro non vi è alcuna possibilità di accesso a farmaci o cure mediche. Circa il 28% delle morti registrate fra il 2018 e il 2019 sono avvenute durante la traversata del Sahara. Il numero più alto di decessi è stato segnalato nella zona del Nord Africa (59%), seguita da quella in corrispondenza dell’Africa occidentale (36%).

Violenze sessuali e di genere

“Rifugiati e migranti hanno riferito di essere stati sottoposti a violenze brutali, tra cui essere stati bruciati con olio caldo, plastica fusa o oggetti metallici riscaldati, essere stati fulminati, legati in posizioni di stress e aver subito e assistito a ripetute violenze sessuali, spesso nel contesto di richieste di riscatto”.
Report UNHCR

Gli intervistati hanno riferito di aver assistito, o di aver direttamente subito, più di 2.000 episodi di SGBV (Sexual and Gender-Based Violence, violenza sessuale e di genere). Circa il 31% di loro hanno vissuto tali aggressioni in più di una località. Sono soprattutto donne, spesso costrette a prostituirsi o a soddisfare altre forme di sfruttamento sessuale. I principali responsabili sono i contrabbandieri (45%), ma le forze di sicurezza, la polizia e i militari sono anch’essi ampiamente responsabili (19%) e commettono violenze sessuali e di genere più degli individui sconosciuti (12%), dei gruppi di teppisti o delle bande di criminali (11%). Infine, anche gli stessi migranti commettono reati SGVB (10%). Il principale scenario delle violenze è il deserto, soprattutto durante la traversata dal Niger alla Libia e dal Sudan all’Egitto. I maggiori casi di SGBV sono stati segnalati nella zona del Nord Africa (45%).

Violenze fisiche e sequestri

“Se si fora una gomma nel deserto, è difficile cambiarla a causa della sabbia; il cric della macchina affonda nella sabbia. Pertanto, hanno utilizzato un migrante che non aveva abbastanza soldi per pagare il passaggio. Quest’uomo è stato utilizzato come supporto per il cric della macchina per proteggere l’auto dall’affondamento nella sabbia. Non ha sostenuto lo sforzo ed è stato abbandonato lì a morire. Hanno costretto un mio amico a uccidere il suo amico con un coltello perché non aveva soldi da dare loro. Se le donne non hanno abbastanza soldi, le violentano davanti a tutti”.
Uomo della Guinea, intervistato in Europa da un partner dell’UNHCR, 2019

Il report segnala 4.468 episodi di violenza fisica, la maggior parte causati dalle forze di sicurezza, dalla polizia, dai militari o ufficiali dell’immigrazione e dalle guardie di frontiera (47%), seguiti dai trafficanti (29%). La violenza fisica è stata segnalata più comunemente lungo la zona dell’Africa occidentale (57%), seguita dalla zona del Nord Africa (36%). Anche in questo caso i luoghi principali in cui si è verificata la violenza fisica si trovano nel deserto (specialmente durante la traversata dal Niger alla Libia). Circa il 38% delle persone hanno riferito di aver subito episodi di violenza in più di un luogo, il 14% in tre o più occasioni.

Anche i casi di sequestri di persona sono numerosi: 171 intervistati hanno riferito di 291 casi di rapimento, con circa il 70% di loro che ha dichiarato di essere stato segregato a scopo di riscatto anche più di una volta. È lungo il tragitto dal Sudan all’Egitto che avvengono più sequestri di persona; in questo caso i trafficanti sono stati segnalati come i principali responsabili (79%).

Le morti e gli abusi lungo la rotta del Mediterraneo centrale, fonte UNHCR

Sopravvissuti

“Sono stato trattenuto in un centro di detenzione in Libia. Ci sono così tante persone malate, la maggior parte ha la tubercolosi. Non sono disponibili cure mediche. Vedevamo morire almeno due o tre persone ogni giorno. Una volta hanno preso alcune persone, almeno 50, e hanno detto che li avrebbero portati per un trattamento… ma non sono mai tornati. Non sappiamo se sono vivi o no. Le persone non hanno accesso alla luce solare o all’aria fresca. Io non sono potuto uscire all’aperto dal 2017 fino ad ora. Le mie sorelle sono ancora lì. Questo mi fa male dentro”.
Uomo eritreo, evacuato dalla Libia dall’UNHCR, 2019

Una volta raggiunta la Libia, i migranti subiscono ulteriori abusi. Spesso sono trattenuti arbitrariamente in centri di detenzione ufficiali nei quali vivono in condizioni disumane. Vi sono poi i centri di detenzione “non ufficiali”, controllati dagli stessi trafficanti. Uomini, donne e bambini sopravvissuti spesso presentano malattie mentali gravi a causa dei traumi fisici e psicologici. Quando finalmente riescono a imbarcarsi verso l’Europa rischiano di morire affogati, per disidratazione o per un colpo di calore. Spesso preferiscono perdere la vita in mare, piuttosto che essere riportati indietro dalla cosiddetta guardia costiera libica e dover affrontare nuovamente l’inferno dal quale sono riusciti a fuggire.

Qui il report completo
Qui le video testimonianze dei sopravvissuti

Vincenzo Lombardo
(11 Agosto 2020)

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