No one is looking at us anymore: Migrant Detention and Covid-19 in Italy è il titolo del report, pubblicato dalla Oxford University, sulla detenzione di migranti in Italia durante la pandemia di Covid-19 realizzato da Francesca Esposito, Emilio Caja e Giacomo Mattiello. Lo studio si sofferma in particolare sul periodo del lockdown nazionale in Italia, dal 9 marzo al 18 maggio 2020, verificando la fattibilità delle misure adottate dal governo all’interno dei singoli CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), fra cui quello di Ponte Galeria a Roma.
Detenzione di migranti e Covid-19
Secondo il report, il confinamento di gruppo e la detenzione di migranti aumenta significativamente il rischio di contaminazione da Covid-19. Le condizioni nei CPR sono infatti “inadeguate a garantire il diritto dei detenuti alla salute nel contesto di una pandemia globale”. Mentre gli attivisti e le ONG hanno sollecitato la sospensione di ogni nuovo arrivo nei CPR, forme “non ufficiali” di detenzione di migranti hanno iniziato a proliferare, giustificate da ragioni igienico-sanitarie dovute all’emergenza Covid-19. Il riferimento è alle navi quarantena, introdotte il 12 aprile a seguito della promulgazione del cosiddetto Decreto Porti Chiusi. “Il forte carattere discriminatorio dell’utilizzo delle navi da quarantena finisce per criminalizzare chi arriva in Italia con mezzi diversi da quelli convenzionali, come voli o automobili. […] Un sistema di accoglienza carceraria, con la privazione della libertà che diventa mezzo predefinito per attuare misure sanitarie”.
La differenza con la Spagna
Durante il lockdown nazionale “numerosi migranti senza fissa dimora, vivendo in stato di vulnerabilità a causa della chiusura dei servizi sanitari e sociali già limitati a loro disposizione, sono diventati obiettivo primario del controllo della polizia”. L’Italia ha proseguito nella sua politica di detenzione dei migranti anche durante l’emergenza Covid-19, a differenza di altri Paesi. A titolo di esempio “all’inizio di aprile il Ministero degli Interni spagnolo ha dichiarato l’intenzione del governo di rilasciare i migranti detenuti e chiudere temporaneamente tutti i centri di detenzione. Questo piano è stato completato il 6 maggio”.
CPR di Ponte Galeria
Il centro di detenzione di Ponte Galeria a Roma è il più grande CPR per immigrati italiano, l’unico in cui le donne possono essere detenute. Attualmente la struttura può ospitare fino a 210 persone, di cui 130 uomini e 80 donne. Fino a febbraio 2010, Ponte Galeria era gestito dalla Croce Rossa Italiana. Successivamente, diverse organizzazioni del settore privato sono state incaricate di amministrarlo: attualmente il centro è gestito dalla Cooperativa Sociale Albatros.
Morti sospette
Secondo il report fin dalla sua apertura, nel 1998, Ponte Galeria è stato teatro di violenze e abusi. “La prima persona a morire nel centro fu Mohamed Ben Said, un tunisino di 39 anni che, nella notte di Natale del 1999, fu trovato morto dopo 14 giorni di reclusione, presumibilmente per negligenza nelle cure mediche e una dose eccessiva di psicofarmaci somministrati dal personale sanitario del centro. Poi, il 7 maggio 2009, Nabruka Mimuni, una donna tunisina di 49 anni che aveva trascorso la maggior parte della sua vita in Italia, ha deciso di impiccarsi nel bagno del suo dormitorio per evitare la sua deportazione in Tunisia il giorno successivo. Due mesi prima un’altra morte: Salah Soudani, algerino, era stato trovato morto dopo aver cercato inutilmente cure mediche. Le oscure circostanze della sua morte non sono mai state chiarite dalle autorità”.
Scioperi e proteste
A queste tragedie andrebbero aggiunte ricorrenti violazioni dei diritti. Non sorprende quindi che “proteste, fughe di massa (265 persone sono scappate nel 2011), atti di autolesionismo, scioperi della fame e rivolte si verificano regolarmente all’interno del centro”. Nel dicembre 2013 diversi uomini del Maghreb si sono cuciti la bocca a Ponte Galeria per protestare contro la durata della loro detenzione. Durante le contestazioni le donne hanno usato “musica, dipinti e graffiti per cercare di sfidare la spersonalizzazione dell’ambiente di detenzione”, mentre gli uomini sono saliti sui tetti per comunicare con gli attivisti all’esterno urlando “Hurriya”, che in arabo significa “libertà”.
Ponte Galeria durante la pandemia
“Dallo scoppio dell’epidemia di Covid-19 le attività di volontari, gruppi religiosi e ONG sono state sospese. Anche agli avvocati è stato impedito di entrare nella struttura di Ponte Galeria, ma in seguito sono diventati le uniche persone esterne autorizzate”. Durante questo periodo il numero di migranti detenuti nel CPR di Roma è costantemente diminuito. Il 17 marzo 95 uomini e 40 donne si trovavano all’interno del centro, mentre il 1° maggio erano detenute 37 persone, la maggioranza delle quali uomini. Il 5 maggio il numero è ulteriormente sceso a 24 persone.
Il diritto alla salute
Il report chiarisce come questo risultato non sia però frutto di un piano nazionale sistematico. Infatti i detenuti, per lo più richiedenti asilo e migranti privi di documenti senza precedenti penali, sono stati rilasciati in conseguenza di decisioni prese da singoli giudici. Ad esempio il 18 marzo un giudice ha rifiutato la proroga del periodo di detenzione per un richiedente asilo del Bangladesh trattenuto a Ponte Galeria. La decisione si è basata anche sul riconoscimento del diritto alla salute delle persone di fronte a una pandemia. “In tal modo, la sentenza ha sottolineato come la privazione della libertà personale di una persona in uno spazio ristretto, come un centro di detenzione, renderebbe difficile il rispetto delle misure sanitarie governative”.
Tensioni e paure
L’emergenza sanitaria ha “esacerbato le tensioni già esistenti nel centro e peggiorato le condizioni di vita dei detenuti. Una forte paura del contagio si è diffusa tra i confinati, soprattutto perché non tutto il personale del centro – almeno inizialmente – indossava i DPI necessari. Ciò dimostra che il pericolo di contagio a Ponte Galeria, come nelle altre strutture di custodia, proveniva principalmente dall’esterno”.
Proteste e violenze
Diversi momenti di protesta hanno quindi avuto origine nel CPR di Roma durante il periodo del lockdown. Una donna tunisina ha ingoiato della candeggina e alcuni detenuti hanno iniziato uno sciopero della fame e della sete. Uno degli episodi più gravi è avvenuto il 25 aprile, data in cui è iniziato il periodo del Ramadan. “Quel giorno la maggior parte degli uomini detenuti, che erano musulmani, è andata dal direttore del centro per chiedere una porzione più abbondante di cibo per la cena, poiché non potevano mangiare durante il giorno. La polizia ha risposto alla protesta dei detenuti con la forza, colpendo ripetutamente due giovani con i loro manganelli”.
Qui il report completo
Vincenzo Lombardo
(25 novembre 2020)
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