Il 12 aprile 2020 il Dipartimento di Protezione Civile ha adottato un provvedimento con il quale si consente l’utilizzo di navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare. Da allora, circa 10.000 persone sono state confinate su unità navali. Il 10 dicembre oltre 150 organizzazioni hanno chiesto al Governo di fermare l’utilizzo delle navi firmando il documento Criticità del sistema navi-quarantena per persone migranti: analisi e richieste. A distanza di più di un mese dalla firma del documento cosa è cambiato? Intervista a Paola Ottaviano di Borderline Sicilia e Pasqua de Candia del CISS – Cooperazione Internazionale Sud Sud.
Non sappiamo cosa succede a bordo
“Da quello che riusciamo a vedere, è cambiato ancora poco – commenta Paola Ottaviano di Borderline Sicilia –. Per il momento, solo una delle cinque navi destinate alla quarantena è utilizzata. Questo, tuttavia, non dipende da un cambiamento della linea politica, ma dalla diminuzione del numero dei migranti arrivati in Italia nelle ultime settimane. Rimane però la totale mancanza di trasparenza su quello che succede a bordo. Non abbiamo ricevuto dal Governo nessuna risposta sulle richieste fatte, come per esempio ricevere un’attestazione scritta riguardo il fatto che non vengono più trasferiti a bordo i minori, anche quelli accompagnati, e che non vengono più prelevate persone dai centri di accoglienza per effettuare la quarantena sulle navi, come invece è successo nell’autunno scorso. Non abbiamo ricevuto una risposta relativa al trattamento delle altre vulnerabilità, e non si è mai aperta una discussione politica per una soluzione diversa dalle navi”.
Navi quarantena: un “limbo nel limbo”
“Nell’immediato probabilmente l’uso delle navi diminuirà per una minore necessità – interviene Pasqua de Candia del CISS –. Infatti le condizioni climatiche non permettono di affrontare il viaggio attraverso il Mediterraneo, ma questo non rassicura sulla dismissione del ‘sistema’ navi quarantena. Questi sono non-luoghi: un ‘limbo nel limbo’, come li ha definiti lo stesso Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale che abbiamo interpellato in uno degli incontri pubblici organizzati per discutere del tema. Le navi quarantena si sono rivelate luoghi inaccessibili. Si tratta di una pratica discriminatoria perché è progettata per essere dedicata e imposta esclusivamente a persone non italiane in percorso migratorio. Sulle navi quarantena queste persone vengono, di fatto, confinate in una condizione strutturalmente degradante, acuita dal disagio psicologico di trovarsi ancora in mezzo al mare dopo essere stati già vittime di attraversamenti pericolosi e traumatici del Mediterraneo. Alcuni sono naufraghi e tanti di loro in precedenza hanno subito torture e avrebbero immediato bisogno di assistenza sanitaria e psicologica. Invece le testimonianze raccontano di carenze di cure, oltre che della mancanza di informative legali e della impossibilità di contattare avvocati, medici o associazioni sul territorio”.
Lo stereotipo dei “migranti-untori”
“Come rilevato da numerosi medici, anche dal punto di vista sanitario l’utilizzo delle navi non risulta essere la misura più adeguata all’isolamento sanitario – specifica Paola Ottaviano –. L’utilizzo delle navi è l’ennesimo tentativo di normalizzare lo stato di eccezione quando si parla di persone migranti. In una fase di emergenza sanitaria tale tendenza acquista ancora più forza. Misure come quelle del confinamento su una nave servono anche a tranquillizzare l’opinione pubblica e alimentare la propaganda per cui i migranti sono anche ‘untori’, a differenza delle migliaia di turisti che per tutta l’estate hanno viaggiato sul territorio nazionale senza alcun controllo e cautela”.
“Sul perché non vengano presi in considerazione i centri di accoglienza al posto delle navi quarantena, la ministra Lamorgese ha dichiarato in un’intervista che la decisione sia stata presa per ‘garantire la sicurezza dei territori’ – aggiunge Pasqua de Candia –. Di fatto, questo non fa che accrescere nel dibattito pubblico in Italia la stigmatizzazione nei confronti di una specifica popolazione. Si alimenta un dibattito perverso, allarmista e totalmente infondato sui rischi di salute pubblica posti dall’arrivo dei ‘migranti-untori’. Oltre questo, temiamo che il ricorso alle navi quarantena si trasformi da soluzione temporanea per la gestione di misure di profilassi sanitaria a modello standard per la gestione degli arrivi da mare. Le condizioni delle navi, il loro isolamento strutturale, il difficile monitoraggio, la mancanza di informazioni e l’impossibilità di ingresso da parte della società civile, rendono tale formula assolutamente inadeguata per lo svolgimento delle corrette operazioni di accoglienza, informazione, definizione della condizione giuridica dei cittadini stranieri. Abbiamo chiesto al Governo di dismettere le navi quarantena e reinvestire la cospicua somma di denaro utilizzata in questa misura, una cifra imparagonabile a qualsiasi accoglienza nelle strutture a terra, per adeguare i centri di accoglienza dove le persone possano svolgere, nel rispetto di tutti i propri diritti, il dovuto periodo di isolamento”.
Navi quarantena e “hotspot galleggianti”
Nel documento che chiede lo stop alle navi quarantena si legge che le misure di emergenza in atto prevedono il confinamento in centri quarantena per un tempo che supera sistematicamente i 14 giorni, ora ridotti a 10, previsti dalla legge. Secondo Paola Ottaviano “il periodo di isolamento su una nave quarantena è un ulteriore lasso di tempo che si somma a quelli già necessari per espletare tutta la procedura di identificazione ed accesso alle procedure per la protezione internazionale. Durante il periodo di isolamento peraltro non risulta essere svolta alcuna informativa legale sullo status e sui diritti, realizzando un trattenimento eccezionale fuori dalle norme dell’ordinamento. Inoltre tale trattenimento per i migranti di alcune nazionalità, come quella tunisina, rappresenta l’anticamera di un decreto di respingimento o di un rimpatrio, dando di fatto alle navi quarantena, la funzione di hotspot galleggianti, tentativo già fatto nel 2011 con i cosiddetti ‘CIE galleggianti’. In assenza di assistenza specifica alle persone in quanto ‘richiedenti protezione’ o potenziali tali, abbiamo riscontrato che soggetti con vulnerabilità anche gravi finiscono nelle maglie dell’irregolarità in quanto non hanno accesso all’esercizio dei diritti previsti dalla legge”.
“Considerato che molte persone ricevono un decreto di respingimento differito o di espulsione immediatamente dopo la fine del loro isolamento sulle navi, ciò implica che la loro situazione personale non venga considerata e che non siano messe nelle condizioni, ad esempio, di inoltrare una richiesta di asilo o di ricongiungimento familiare ai sensi del Regolamento di Dublino – interviene Pasqua de Candia –. Tali testimonianze rendono una rappresentazione delle navi quarantena e dei centri quarantena come ulteriori strumenti per attuare politiche di selezione e respingimento dei migranti. Persone, anche con gravi vulnerabilità, hanno evidenziato la mancata informativa, il difficile accesso alle procedure o l’immediato trasferimento nei Centri per il Rimpatrio. Questo è stato evidenziato soprattutto per le nazionalità incluse negli accordi di riammissione siglati dall’Italia con paesi di origine e transito. Altri hanno testimoniato di aver ricevuto, dopo il periodo di isolamento a bordo di una nave quarantena, un provvedimento di espulsione senza aver avuto alcun modo di conoscere e accedere alle procedure di asilo”.
Le morti di Abdallah Said e Abou Diakite
Abou Diakite, della Costa D’avorio, muore a soli 15 anni il 5 ottobre 2020 in un ospedale di Palermo dopo essere sbarcato dalla nave quarantena Allegra. Prima di lui Abdallah Said, somalo, muore a 17 anni il 15 settembre all’ospedale Cannizzaro di Catania dopo la reclusione sulla nave quarantena Azzurra. “Le morti di Abdallah Said e Abou Diakite hanno reso nota la prassi di trasferire sulle navi quarantena anche i minori stranieri non accompagnati, in violazione di tutta una serie di norme poste a loro tutela – afferma Paola Ottaviano –. All’indomani della notizia della morte di Abou Diakite, insieme ad altre organizzazioni abbiamo presentato un esposto alle procure minorili di Catania e Palermo per segnalare la presenza sulle navi di minori stranieri non accompagnati, chiedendone l’immediato trasferimento in strutture idonee a terra e l’assegnazione di un tutore. La cessazione di tale prassi dimostra che in precedenza il Governo aveva agito in violazione delle norme poste a tutela dei minori stranieri non accompagnati”.
“Purtroppo, si tratta di una prassi che non esclude in assoluto che le navi non vengano più utilizzate per i minori – specifica de Candia –. Infatti, tale prassi vale per i minori stranieri non accompagnati, ma non esclude i minori accompagnati che, quindi, assieme al nucleo familiare continuano a subire l’isolamento a bordo. L’uso delle navi per i minori rappresenta una gravissima violazione dei diritti e delle misure di tutela e protezione: a centinaia, dall’avvio del sistema navi quarantena, agli inizi di maggio 2020 e fino alla prima metà di ottobre 2020, sono stati trattenuti a bordo in condizioni del tutto inadeguate rispetto ai criteri di accoglienza per loro previsti. Per nessun minore, in quell’arco temporale, è mai stata nemmeno aperta una tutela durante il periodo di isolamento a bordo, mentre il diritto prevede si debba farlo immediatamente nel momento in cui si venga a conoscenza della loro presenza sul territorio italiano. E le navi quarantena sono a tutti gli effetti territorio italiano, in cui vige la legge italiana e vigono i principi costituzionali a tutela dei diritti fondamentali. Le morti di Abou Diakite e di Abdallah Said, le cui condizioni si sono aggravate a bordo delle navi quarantena che avrebbero teoricamente dovuto tutelarli e curarli, costituiscono un precedente inaccettabile sulla tutela dei MSNA. Evidentemente, chi avrebbe dovuto vigilare su di loro non lo ha fatto”.
La morte di Bilel Ben Masoud
“Anche la morte di Bilel Ben Masoud, avvenuta il 20 maggio 2020, probabilmente poteva essere scongiurata – prosegue –. Bilel aveva solo 22 anni ed è annegato in mare dopo essersi buttato dalla nave quarantena Moby Zazà, forse nel tentativo di raggiungere la costa a nuoto, dato che la nave era in rada davanti Porto Empedocle. Il suo sogno Bilel lo aveva accarezzato: il sogno di arrivare in Europa. E nella nostra Europa ci aveva già messo piede, anche se per poco, prima di dover tornare in mare salendo a bordo di una nave quarantena. Probabilmente se qualcuno gli avesse spiegato cosa accadeva, se qualcuno lo avesse accompagnato nella gestione del periodo di isolamento a bordo, la sua morte non sarebbe accaduta. Se non ci fosse stato un periodo di quarantena da fare su una nave, da quella stessa nave lui non si sarebbe buttato. Sono morti ingiuste, che aspettano risposte che ci attendiamo possano arrivare dalle inchieste aperte dalle Procure, nel caso di Masoud dalla Procura di Agrigento per istigazione al suicidio”.
Un sistema di accoglienza più sicuro e dignitoso
“Siamo perfettamente consapevoli della difficoltà della situazione pandemica attuale, per la prima volta ci tocca tutti, ci tocca da vicino e fa paura. Ma la tutela della salute pubblica non può essere usata a pretesto per violare i diritti fondamentali delle persone e discriminarle – conclude de Candia –. La vera sicurezza esige altro: esige misure e interventi ragionevoli, dignitosi, non emergenziali e non discriminatori per chiunque. La vera sicurezza esige l’introduzione di novità per la tutela della vita umana e di alternative legali per la migrazione. Affermiamo che ci sono alternative più sicure, più giuste, più dignitose, più utili. Non prenderle in considerazione è una scelta a cui ci opponiamo ribadendo un principio: il diritto alla vita e il diritto alla salute non possono variare in funzione della nazionalità e della provenienza. Rafforziamo e miglioriamo un sistema di accoglienza che sia sicuro e dignitoso, questa la richiesta di tutti i firmatari del documento Criticità del sistema navi-quarantena per persone migranti: analisi e richieste”.
Vincenzo Lombardo
(20 gennaio 2021)
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