Buon Natale o buone feste? Comunità religiose e Ue

“Union of Equality. European Commission Guidelines for Inclusive Communication”: così si intitola un recente documento elaborato dalla Commissione europea e contenente le linee guida per una comunicazione inclusiva. Il documento, indirizzato ai funzionari della Commissione, forniva spunti di riflessione e indicazioni –in parte aventi natura di mera raccomandazione – sulla comunicazione inclusiva in relazione ad una pluralità di tematiche, da quella connessa alla distinzione di genere, all’accessibilità del materiale online. Tra i suggerimenti della Commissione, particolari critiche ha ricevuto l’invito a sostituire espressioni come “il periodo natalizio può essere stressante” con la formula “il periodo delle vacanze può essere stressante” – e, di conseguenza, a sostituire “Buon Natale” con il più generico “Buone feste” – per evitare lo specifico riferimento alla festa cristiana. Le critiche hanno indotto la Commissione a ritirare il documento, con l’impegno ad una sua rielaborazione.

La Redazione di Piuculture ha approfondito il tema con delle interviste a rappresentanti delle diverse comunità religiose, per riflettere sul significato della proposta della Commissione europea e su quali potrebbero essere delle iniziative utili per favorire l’inclusione sociale di persone di diverse religioni.

Imam Mohamed Ahardane – Moschea di Rieti

Sostituire l’espressione “Buon Natale” con la formula “Buone feste” favorisce l’inclusione?

Tra “Buon Natale” e “Buone feste” non c’è contraddizione: dire “buone feste”, infatti, significa dire “buon Natale e buon capodanno”. Per un musulmano, non si commette peccato nell’augurare buon Natale o buone feste ad un cristiano perché ciò che conta è l’intenzione con cui si dicono quelle parole: la cosa importante, come musulmano, è avere la consapevolezza che Gesù è un profeta e non il figlio di Dio.

Il nostro Profeta, nel suo viaggio, ha incontrato ebrei, cristiani e persone professanti altre fedi: lui ha rispettato e dialogato con ciascuna comunità religiosa. Come musulmano, dunque, convivo con tutti e, se il mio vicino cristiano vuole credere che Gesù sia il figlio di Dio anziché un profeta, è una cosa sua e io la rispetto.
Anche se abbiamo religioni diverse, infatti, siamo tutti fratelli di umanità.

Quali potrebbero essere delle iniziative utili per favorire l’inclusione sociale di persone di religioni diverse?

La cosa più importante è imparare e praticare la convivenza, intesa come saper vivere insieme con amore, nel rispetto reciproco di ognuno e delle sue convinzioni. È questo quello che ci ha insegnato il Profeta ed è il segno più bello e importante per vivere sulla terra del Signore.

La convivenza sincera elimina ogni ostacolo al rapporto tra popoli e tra religioni: la convivenza è la moschea vicino alla chiesa, che c’è qui a Rieti come in Palestina; è il rispetto per il cristiano come per l’ateo.
Ogni vita esistente sulla terra è sacra e spero che Dio illumini sempre la strada di ognuno, qualunque sia la sua religione.

Stefano Bettera – Portavoce Unione Buddhista Italiana

Sostituire l’espressione “Buon Natale” con la formula “Buone feste” favorisce l’inclusione?

Le festività di ogni religione hanno un forte significato simbolico: esse sono occasioni in cui, attraverso la ritualità, si attesta l’esistenza di una tradizione viva, si ribadiscono il senso e il significato di una scelta e si rinnova il sentimento di appartenenza ad una comunità.

Non esiste comunità religiosa che non abbia bisogno di celebrare delle festività, fatte di gesti propri ed di un linguaggio specifico, nei quali i suoi membri si riconoscono: un esempio, per i buddhisti, è il Vesak come lo è il Natale per i cristiani.

La celebrazione di una festività religiosa è espressione di convinzioni profonde e i riti che ne sono manifestazione sono una ricchezza: impedire questo significa negare ad una confessione religiosa la sua identità più profonda e svuotare di senso una comunità.

Come buddhista, dunque, non mi sento offeso dalla celebrazione del Natale.
Il Natale è un momento in cui una comunità religiosa si riunisce e riconosce se stessa come tale, riscopre il proprio senso di appartenenza. E difendere la celebrazione del Natale non è un restare attaccati ad una tradizione, ma è un rinnovamento, è riscoprire il significato di quella festività. Inoltre, da parte di un cristiano, augurare “Buon Natale” è un gesto di grande vicinanza.

Non è attraverso l’appiattimento del linguaggio che si realizza il rispetto dell’identità religiosa individuale: anzi, per questa via, il rischio è che, cercando di rispettare tutti, si finisce per non rispettare nessuno.

Quali potrebbero essere delle iniziative utili per favorire l’inclusione sociale di persone di religioni diverse?

Creare strumenti e occasioni di dialogo tra le comunità religiose, garantire la sicurezza dei luoghi di culto, favorire la conoscenza reciproca, adoperarsi per eliminare il pregiudizio: questo sarebbe utile per favorire l’inclusione sociale delle varie confessioni religiose ed è di questo che le istituzioni dovrebbero occuparsi.

Don Roberto Marini – Parroco di Santa Teresa d’Avila a Roma

Sostituire l’espressione “Buon Natale” con la formula “Buone feste” favorisce l’inclusione?

La Commissione europea arriva in ritardo rispetto al vissuto: chi preferisce dire “Buone feste” al posto di “Buon Natale” perché non crede, lo faceva anche prima dell’iniziativa comunitaria. Non sono le leggi a definire la mentalità degli individui, sebbene possano avallare un certo modo di pensare: la storia la fanno le persone.
Ho alcuni amici islamici e mi è capitato di augurare loro “Buon Ramadan”: non vedo alcun problema in questo.

La società sta andando verso una realtà multietnica e l’Europa, che storicamente nasce cattolica, oggi è laica. Questo aspetto tuttavia, anziché favorire l’inclusione, ha generato la tendenza a dover sempre escludere qualche elemento attinente alla religione cristiana cattolica. Parlare del cattolicesimo, però – in particolare per l’Italia – significa anche capire la propria storia: negare questo aspetto non solo sarebbe un atteggiamento da regime totalitario, ma significherebbe negare un passato storico di almeno 1700 anni.
Dunque si può credere o non credere, ma bisogna conoscere la propria storia.

Quali potrebbero essere delle iniziative utili per favorire l’inclusione sociale di persone di religioni diverse?

“Ama il prossimo tuo come te stesso”, dice il comandamento: ciò che occorre è una educazione al rispetto.
Aprirsi ad altre religioni e culture significa rispettarle: questo è un valore che fa parte della mia formazione come cattolico oltre a dipendere dall’educazione familiare.
Inclusione, dunque, significa rispettare, non doversi privare di qualcosa.

Per favorire l’inclusione, conoscere è la cosa fondamentale: più si conosce una religione o una cultura, più se ne comprende la bellezza, la preziosità e si impara a rispettarla. Questa è la via per la convivenza serena e per eliminare il pregiudizio.
In questo senso, la formazione di bambini e ragazzi è la cosa più importante: l’insegnamento della religione inteso come studio dei suoi contenuti – da tenere distinto dall’insegnamento della fede – e come storia delle religioni, è il punto di partenza affinchè le nuove generazioni possano avere una mentalità aperta.

Valeria Frascaro
(16 dicembre 2021)

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