Linee guida accoglienza alunni stranieri: gli aggiornamenti del 2022

Le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, il documento redatto dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale del Ministero dell’Istruzione, sono state aggiornate dopo otto anni dall’ultima versione e presentate il 17 marzo presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre. L’aggiornamento del 2022, intitolato Orientamenti Interculturali. Idee e proposte per l’integrazione di alunne e alunni provenienti da contesti migratori, è un documento fondamentale, insieme al Rapporto Gli alunni con cittadinanza non italiana, per restituire il quadro della situazione delle migliaia di alunni con background migratorio nelle scuole italiane.

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“Orientamenti Interculturali. Idee e proposte per l’integrazione di alunne e alunni provenienti da contesti migratori” è il titolo dell’aggiornamento 2022 delle Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri del Ministero dell’Istruzione. Foto Piuculture

La necessità di un aggiornamento

“In otto anni il lavoro dell’Osservatorio non si è fermato”, spiega Fiorella Farinelli, membro dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale “Le nuove Linee guida hanno l’obiettivo di fornire uno spaccato ancora più preciso delle problematiche, dei bisogni e delle relative risposte all’universo composito degli alunni con background migratorio inseriti nelle scuole italiane. In questo caso si tratta della terza versione delle Linee guida, dopo quelle del 2006 e del 2014, molto più dettagliata e circostanziata rispetto alle versioni precedenti. È emersa, per esempio, l’urgenza degli interventi relativi alla fascia 0-6 anni o quella dei giovani con un’età superiore ai 14 anni, non trattate nelle versioni precedenti.

Le due problematiche richiedono soluzioni molto differenti: nel primo caso si tratta di affrontare una difficoltà principalmente di tipo culturale, cioè la resistenza da parte di molte famiglie di origine straniera ad accettare una scolarizzazione ritenuta precoce. Molti di questi alunni provengono da Paesi in cui non esiste un corrispettivo della scuola materna, per cui è molto difficile che autonomamente le famiglie cerchino di inserirli in percorsi scolastici. Si finisce per perdere, così, un’occasione unica di esposizione alla lingua italiana veicolata dalle maestre ma soprattutto dai pari con cui socializzare. Si origina inoltre già a questa età un ritardo nell’apprendimento della lingua italiana, poi difficile da colmare.

Il caso degli alunni stranieri dai 14 anni in su, invece, ci riguarda e ci chiama in causa ancor più da vicino, perché se le percentuali di alunni stranieri nelle scuole secondarie di II grado crescono (con un incremento, rispetto all’anno precedente, di +11 170 studenti nell’a.s. 2019/2020 secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, ndr), questo rappresenta un segnale di progressivo radicamento che non possiamo sottovalutare. Ma su questa popolazione di studenti incidono anche percentuali maggiori di alunni con ritardo scolastico accumulato nei cicli di studio precedenti (a 14 anni ben il 29,3% degli studenti con background migratorio è in ritardo di un anno, ndr), e il ritardo scolastico spesso scoraggia nel proseguimento degli studi o spinge ad orientarsi massicciamente verso percorsi professionalizzanti e istituti tecnici.

Una presenza sempre più strutturale e poco riconosciuta

Il 65,4% degli alunni stranieri nelle scuole italiane è nato in Italia, fa parte cioè delle cosiddette “seconde generazioni”. Questo dato porta, spesso ed erroneamente, a sottovalutare l’urgenza di un intervento volto a colmare il divario tra alunni italiani e con background migratorio in quello che viene definito come Italstudio, cioè l’italiano come lingua per lo studio. Si dà infatti per scontato che l’esposizione alla lingua italiana sia di per sé sufficiente a garantire il possesso degli stessi strumenti linguistici dei coetanei italiani madrelingua. “Molti di questi alunni vivono di fatto in una situazione di bilinguismo tra lingua madre parlata in famiglia e italiano parlato nei contesti extradomestici che, se di per sé può rappresentare una risorsa perché facilita l’apprendimento delle lingue straniere, d’altro canto può rappresentare un problema in un percorso didattico fortemente incentrato sull’italiano.

Gli alunni con cittadinanza non italiana rientrano all’interno dei BES (Bisogni Educativi Speciali), introdotti dalla direttiva ministeriale Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica del 2012. Si tratta, in questo specifico ambito, di progettare una serie di interventi specifici e di misure per colmare il divario linguistico iniziale degli alunni provenienti da contesti migratori. Per affrontare le problematiche relative al singolo alunno portatore di BES il consiglio di classe procede alla redazione di un PDP (Piano Didattico Personalizzato), che contiene misure compensative e dispensative volte a garantirgli il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento.

Legare l’insegnamento dell’italiano L2 all’approvazione di un PDP che necessita dell’approvazione delle famiglie e della proposta del consiglio di classe significa, di fatto, sottovalutare e misconoscere la presenza sempre più strutturale della componente di alunni con background migratorio nelle scuole. Bisognerebbe inserire laboratori linguistici di italiano L2 all’interno di un percorso scolastico ordinario. Non ha senso che le scuole promuovano l’interculturalità – emblematico in tal senso il rimando all’’educazione all’interculturalità’ all’interno della L. 92/2019 sull'”Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica” – attivando corsi di lingue straniere sempre più disparate, ma sorvolando completamente sull’altro aspetto di questa promozione dell’interculturalità, che si dovrebbe automaticamente tradurre nell’attenzione verso chi deve apprendere l’italiano come lingua seconda.”

Sul piano prettamente didattico, inoltre, si possono prevedere soluzioni di facile e immediato impiego. “Per colmare il divario linguistico nell’italiano per lo studio di molti alunni neo-arrivati bastano 6 mesi di corso intensivo e l’inserimento in un contesto di pari in cui poter approfondire la lingua per la comunicazione. Nei primi mesi è inoltre particolarmente utile dare risalto a quelle discipline che non richiedono necessariamente una grande competenza linguistica – come matematica, musica, educazione artistica, educazione tecnica – per sostenere la motivazione, ingrediente fondamentale per un buon percorso scolastico. Si tratta spesso di discipline in cui gli alunni con deficit linguistico ottengono non a caso risultati decisamente positivi.”

La volontà politica per una scuola multiculturale

L’Italia è diventata un Paese di immigrazione da almeno trenta anni. In questi anni sono state emanate direttive e documenti ufficiali che affrontano a più riprese il tema dell’inclusione degli alunni con background migratorio nelle scuole italiane, a partire dal Testo Unico Immigrazione (L. 286/1998) che ribadisce il diritto all’istruzione per gli alunni stranieri, passando per i documenti La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri del 2007, le Linee guida del 2006 e 2014 e Diversi da chi? del 2015.

Sul piano pratico e attuale, tuttavia, ancora si verificano sostanziali disparità territoriali nell’accoglimento delle direttive ministeriali. Il lavoro compiuto dal servizio DISCOL della Rete Scuolemigranti in collaborazione con l’USR Lazio sui respingimenti scolastici di alunni neo-arrivati (NAI) è un esempio di corretto accoglimento delle direttive, ma rimane un’eccezione all’interno di un panorama quanto mai composito. “Qui entra in gioco il vero nocciolo della questione: non si tratta di un problema di assenza di indicazioni, ma di mancanza di volontà politica. Questa volontà politica si manifesta nell’erogazione di risorse professionali (ad oggi, per esempio, la quasi totalità dei docenti A023, cioè abilitati all’insegnamento dell’italiano L2, sono concentrati unicamente nei CPIA), materiali e di tempo e nel coordinamento tra vari attori istituzionali. Faccio un esempio: il problema degli alunni neo-arrivati a seguito di ricongiungimenti familiari potrebbe essere agevolmente risolto collaborando in maniera più sistematica con le Prefetture, che possiedono i dati relativi ai ricongiungimenti familiari costantemente aggiornati.”

Territorialità e protocolli di accoglienza

Laddove lo stanziamento di risorse non sia sufficiente, diventa fondamentale la collaborazione con altre realtà locali e territoriali che possono eventualmente supplire alle carenze istituzionali. “Non finiremo mai di ribadire l’importanza della territorialità nella risoluzione di molte questioni che riguardano l’inserimento scolastico di questi alunni. Attraverso la messa in campo di protocolli di accoglienza si possono includere le realtà del terzo settore disponibili, per esempio, ad erogare corsi di italiano in orario pomeridiano. Oppure si possono mettere in campo dei consorzi di scuole per la messa in comune delle spesso esigue risorse a disposizione. Ma torniamo di nuovo al punto iniziale: la volontà politica, che a sua volta è mossa dalle pressioni della società in quel gioco complesso che è la democrazia.”

Le disparità nella tutela del diritto all’istruzione non riguardano soltanto gli indirizzi degli USR, ma si rivelano anche a livello di singoli istituti. “In molti casi si verifica il fenomeno della polarizzazione, per cui istituti scolastici presenti nello stesso territorio manifestano tassi di presenza di alunni con cittadinanza non italiana decisamente disallineati. Questa specializzazione è qualcosa che ha molto a che fare con la ghettizzazione. Paradossalmente se la cavano meglio sul piano dell’inclusione quelle scuole di periferia in cui l’utenza di alunni con cittadinanza non italiana è talmente alta da aver spinto le scuole ad elaborare più o meno per propria volontà e necessità una sorta di pratica consolidata. Questo significa sostanzialmente che permangono ancora a livello di singoli istituti grandi differenze nell’attuazione delle direttive.”

Linee guida tra ius scholae e i limiti della solidarietà

Si è parlato di recente della proposta di riforma della cittadinanza basata sullo ius scholae, che fa del percorso scolastico un requisito fondamentale per il riconoscimento dello status giuridico degli alunni solo nominalmente stranieri, ma italiani di fatto per quanto riguarda la propria percezione e biografia. “A mio avviso si tratta di uno dei tanti tentativi di approdare a una riforma della cittadinanza che poco si discosta dai precedenti. Fa piacere comunque constatare il riconoscimento del ruolo fondamentale del percorso scolastico nella definizione del cittadino italiano. Ci si aspetterebbe, quindi, come logica conseguenza una maggiore attenzione al tema dell’inclusione scolastica degli alunni con background migratorio.

In questo campo, tuttavia, l’Italia deve ancora compiere quel passaggio fondamentale dall’ottica emergenziale e residuale a quello della strutturalità, e quindi del sistema, per la definizione degli interventi. Onestamente non so se questa proposta sia indice di un rinnovato interesse riguardo il fenomeno migratorio. Resto comunque colpita dalla totale assenza del tema migrazioni all’interno del PNRR, spia della mancata volontà di questo Paese nel riconoscere la propria natura sempre più interculturale. Anche il recente e, giustamente, accorato interesse nei confronti degli alunni in fuga dall’Ucraina inseriti nelle scuole italiane denuncia la mancata volontà di fare i conti con questa realtà. Si parla di solidarietà, per definizione residuale e momentanea, ma non di diritti evidentemente validi per tutti gli alunni, indipendentemente dalla provenienza geografica e dalla condizione giuridica.”


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Silvia Proietti
(28 marzo 2022)

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