Noi siamo pronti, e voi? Cittadinanza italiana per Ius scholae subito

Ius Scholae: è partita la campagna “Noi siamo pronti, e voi?”, promossa dalla Rivista e Centro studi Confronti, Italiani Senza Cittadinanza e Coordinamento nazionale nuove generazioni italiane (CoNNGI) per rilanciare il tema della riforma della cittadinanza a 30 anni dalla Legge 91/1992.
L’appello, aperto all’adesione di tutti i cittadini, è stato firmato da numerosi esponenti del mondo della politica, della cultura e del giornalismo.

noi siamo pronti e voi
Nel corso degli anni si sono susseguite numerose battaglie per la riforma della cittadinanza. Una manifestazione al Pantheon in occasione della Festa della Repubblica (archivio Piculture)

Noi siamo pronti, e voi? Il quadro della situazione

Di Ius scholae si parla già da diversi mesi. Il testo base della legge è ora in discussione presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, sepolto da una valanga di emendamenti, dai più pertinenti – per esempio la definizione della durata minima del ciclo di studi da frequentare in Italia – a quelli più connotati da ostruzionismo, come la proposta di valutare la conoscenza degli usi e costumi dell’Italia contemporanea. Allo stato attuale – ma è bene ribadire che non si tratta ancora del testo definitivo – la bozza di riforma prevede il conferimento della cittadinanza italiana ai figli di immigrati che abbiano completato un ciclo di studi di almeno 5 anni in Italia, purché arrivati prima del compimento dei 12 anni di età.

Cosa ha spinto le associazioni a promuovere la campagna per la riforma della cittadinanza proprio in questo momento? Esponenti delle diverse forze politiche si sono trovati d’accordo nel riconoscere all’istruzione il ruolo di requisito fondamentale per diventare italiani, ma quante speranze ci sono che il testo venga effettivamente votato? Quanto, in altre parole, si può fare affidamento sui famosi numeri in Parlamento?

Una riforma da promuovere prima del 2023

“Sostanzialmente non è cambiato poi molto dai precedenti tentativi di riforma della cittadinanza” spiega Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto Onlus e uno dei primi firmatari della proposta. “Ho la sensazione che anche in questo caso ci si trovi di fronte a un movimento ciclico di umori collettivi, che non ha alle spalle ragioni sociali o politiche. Qui a mio parere risiede la principale debolezza della questione, cioè nella sua dipendenza da fattori indecifrabili. Certamente ci troviamo in un periodo in cui l’allarme sociale legato all’immigrazione è andato scemando, e con esso la capacità dei partiti xenofobi di mobilitare l’opinione pubblica. Parole come “profugo”, “soccorso”, “accoglienza” non fanno più paura, grazie soprattutto al fattore Ucraina. Io credo sostanzialmente che le forze progressiste abbiano giustamente colto l’occasione per poter presentare una nuova proposta di legge prima delle elezioni del 2023. Nessuno però può dirsi sicuro del suo buon esito”.

Le valutazioni del Tavolo cittadinanza

Omar Neffati e Simohamed Kaabour sono rispettivamente portavoce di Italiani Senza Cittadinanza e presidente di CoNNGI. Insieme coordinano il Tavolo cittadinanza – di cui fanno parte ACLI, Amnesty International Italia, ARCI, Cantiere Casa Comune, Caritas Italiana, CGIL, CILD, Cittadinanzattiva, Comunità di Sant’Egidio, Cospe, Lunaria, Rete Studenti Medi, Save The Children, Udu e molte altre organizzazioni – in questo momento in prima linea nel monitorare attentamente l’iter legislativo della riforma della cittadinanza.

Il logo della campagna per la riforma della legge sulla cittadinanza

“In complesso ci sembra un buon testo”, spiega Omar Neffati “ma presenta anche diversi punti critici e alcune significative lacune. Penso per esempio alla mancata previsione di una fase di transitorietà della legge, che garantirebbe questo diritto anche a chi ha già completato il ciclo di studi; o ancora alla necessità di allargare la forbice per comprendere anche coloro che siano arrivati in Italia dopo i 12 anni di età. Andrebbe a nostro parere anche posta attenzione alla questione delle spese per il conferimento della cittadinanza, salite a quota 250€ con la riforma Salvini. Si tratta di un deterrente importante se rapportato al grado di incertezza economica che vivono in Italia le giovani generazioni, a maggior ragione se di origine straniera”.

Omar vive quotidiamente sulla sua pelle le disparità e i disagi originati dall’attuale legge sulla cittadinanza: chi non ha cittadinanza italiana non può esercitare il diritto di voto, non può accedere ad alcune categorie di borse di studio o concorsi pubblici. “Io che sono arrivato in Italia dalla Tunisia a 6 mesi mi sento italiano a tutti gli effetti, anche se di fronte alla legge sono di fatto un italiano di serie B. Mi trovo in una situazione per cui ho gli stessi doveri degli italiani di nascita, ma non gli stessi diritti. Situazione altrettanto paradossale mi trovo a vivere in famiglia: mia sorella, che è nata in Italia da entrambi i miei genitori, è italiana mentre io non lo sono.”

Una scuola all’altezza dello Ius scholae

Parlare di Ius scholae significa costringere la scuola stessa ad una presa di responsabilità nei confronti degli alunni di origine straniera, che sono da anni una presenza stabile nelle classi di ogni ordine e grado. Ne è convinto Simohamed, che insegna in un liceo della sua città, Genova. “Nel primo punto dello statuto del CoNNGI abbiamo inserito non a caso il tema scuola, per sottolineare la necessità di promuovere una formazione del personale docente relativa ai temi della valorizzazione del multiculturalismo e per insistere sulla centralità della questione dell’accoglienza degli alunni stranieri”.
L’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri del Ministero dell’Istruzione denuncia forti disparità territoriali nell’accoglienza degli alunni stranieri nelle scuole italiane e, all’interno dei vari documenti redatti negli ultimi anni, tassi di dispersione scolastica di alunni stranieri decisamente allarmanti se confrontati con quelli dei coetanei italiani.

“Quando parliamo di Ius scholae, a mio parere, dovremmo contestualmente parlare di come la scuola possa effettivamente, e nel miglior modo possibile, promuovere l’acquisizione della cittadinanza degli alunni appartenenti alle cosiddette seconde generazioni. Una scuola che, in alcuni casi, registra tassi del 30% di dispersione di alunni di origine straniera può veramente definirsi efficace promotore di cittadinanza? Partire dall’analisi del contesto scolastico attuale dovrebbe essere la base su cui poi ragionare e proporre eventuali emendamenti. Che senso ha, come poi effettivamente è avvenuto, proporre il requisito del successo formativo per la cittadinanza, quando un terzo degli studenti di origine straniera abbandona la scuola?”


Firma anche tu l’appello


 

Silvia Proietti
(18 maggio 2022)

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