Legge Bossi-Fini: compie 20 anni la discussa legge che ha cambiato il modo di guardare all’immigrazione, concepita sempre più in maniera emergenziale e come problema di ordine pubblico, inaugurando un percorso che arriva fino ai decreti sicurezza del 2018 e del 2019.
Il 2022, che segna anche i trenta anni della L. 91/1992 sulla cittadinanza, si riconferma come un anno ricco di anniversari per la realtà dell’immigrazione in Italia, che sempre più necessita di riforme radicali.
Legge Bossi-Fini: meno partenze e irregolari
Con la L. 189/2002, meglio conosciuta come “legge Bossi-Fini” dal nome dei primi firmatari, il fenomeno migratorio viene affrontato per la prima volta essenzialmente come un problema di riduzione degli arrivi e di espulsione degli irregolari. Con quale mezzo la L. 189/2002 intendeva realizzare questi propositi? Facile: riducendo le possibilità di ingresso legale, rendendo di fatto impossibile accedere in Italia regolarmente per cercare lavoro, secondo un impianto che ancora oggi mostra appieno la sua inefficacia e causa migliaia di morti in mare ogni anno.
Nello specifico la legge Bossi-Fini, intervenendo sul Testo Unico dell’Immigrazione (L.186/98), ha previsto:
- l’ingresso regolare in Italia soltanto per gli stranieri già in possesso di un contratto di lavoro;
- l’istituzione delle Commissioni Territoriali per l’analisi delle domande di asilo e di una procedura semplificata per analizzare le istanze palesemente infondate;
- l’allungamento della permanenza nei Centri di Permanenza Temporanea (CPT), previsti dalla precedente legge Turco-Napolitano, da 30 a 60 giorni e l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera al termine del periodo stabilito dei migranti irregolari;
- il rilievo fotodattiloscopico per i richiedenti asilo che raggiungono il Paese;
- l’inasprimento delle pene per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, previsto già nella L.186/98;
- la norma per cui lo straniero privo del contratto di lavoro al momento del rinnovo del permesso di soggiorno ogni 2 anni decade automaticamente al rango di irregolare.
Irregolarità e sanatorie per i lavoratori stranieri
Se sul versante della riduzione degli arrivi la legge ha avuto un certo effetto, grazie anche all’impiego della Marina Militare per frenare le partenze di potenziali clandestini, nel caso della riduzione degli irregolari ha mostrato tutta la sua inefficacia. La legge Bossi-Fini ha inaugurato il ricorso a frequenti sanatorie per i lavoratori stranieri irregolari – la prima delle quali prevista proprio dalla stessa legge per il 2003 -, che stanno appunto ad indicare, oltre all’inefficacia delle norme che dovrebbero portare alla promozione del lavoro regolare per gli stranieri, l’irrealizzabilità dei facili propositi di espulsione degli irregolari.
Il decreto flussi 2022, che ha fissato le quote dei lavoratori non comunitari che potranno fare ingresso in Italia nel corso dell’anno, ha stabilito 69 700 quote di ingresso, più del doppio rispetto alla media degli ultimi anni, ma ha fatto registrare più di 200 000 domande pervenute.
Senza contare inoltre che l’estrema rigidità promossa dalla legge riguardo il rinnovo dei permessi di soggiorno per lavoro, e la conseguente facilità con cui un lavoratore regolare può scadere nell’irregolarità, non hanno fatto altro che aumentare la platea degli indesiderati stranieri, definiti ciclicamente clandestini o irregolari.
Dopo l’introduzione della legge Bossi-Fini, in altre parole, per poter accedere in Italia regolarmente per trovare lavoro bisogna già essere in possesso di un contratto di lavoro, stipulato prima di partire con un datore di lavoro posto a chilometri di distanza, mediante meccanismi fantomatici di incontro della domanda e dell’offerta di manodopera straniera.
Il recente flop relativo al piano di regolarizzazioni del 2020 dimostra inoltre quanto inefficace sia il ricorso alle sanatorie, diventato ormai una dinamica consolidata con cui affrontare il problema dell’accesso al lavoro regolare dei cittadini stranieri in Italia.
Appare evidente, dunque, l’urgenza di stabilire un nuovo e più efficace modo per far incontrare domanda e offerta di lavoro, per garantire diritti e regolarità a centinaia di migliaia di lavoratori stranieri, costretti o all’irregolarità o al limbo prima e durante le regolarizzazioni.
Nasce lo SPRAR e l’accoglienza bipartita in Italia
Alla legge Bossi-Fini va fatta risalire, tuttavia, anche l’introduzione del Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) – divenuto SIPROIMI nel 2018/2019, poi SAI a partire dal 2020 -, la cosiddetta “seconda accoglienza”, cioè il sistema di accoglienza territoriale dei migranti che fa capo ai Comuni, gestito da ANCI e dal Ministero dell’Interno.
L’istituzione dello SPRAR rappresenta il riconoscimento e l’istituzionalizzazione delle esperienze virtuose di accoglienza decentrata promosse negli anni precedenti da ANCI, Ministero dell’Interno e UNHCR, confluite poi nel Programma Nazionale Asilo (PNA) del 2001. Con la legge Bossi-Fini viene istituito il Fondo per le politiche e i servizi dell’asilo allo scopo di finanziare i progetti SPRAR.
A partire dal 2002, dunque, il sistema dell’accoglienza in Italia ha finito per subire una bipartizione, tuttora in vigore, in: prima accoglienza, gestita direttamente dallo Stato; seconda accoglienza, in mano ai Comuni e agli Enti Locali.
Per avere un’idea di come nei fatti abbia funzionato questa bipartizione, è utile analizzare il grafico Openpolis che mostra, relativamente agli anni 2014-2020 (cioè prima dell’introduzione del sistema SAI), la distribuzione delle presenze in accoglienza distinte per Cas e altri centri governativi da un lato; centri Sprar/Siproimi dall’altro.
La prima accoglienza nella maggior parte dei casi viene attuata mediante il ricorso ai CAS, Centri di Accoglienza Straordinaria, con standard qualitativi e di vita decisamente bassi, gestiti a livello prefettizio. La seconda accoglienza, invece, è stata più volte riconosciuta come un sistema virtuoso.
La seconda importante sfida da lanciare all’Italia ferma ancora alla legge Bossi-Fini, lanciata dal Tavolo Asilo e Immigrazione e presentata lo scorso 22 giugno nel corso di una conferenza stampa, riguarda infatti proprio il tema dell’accoglienza.
Eliminare la volontarietà nell’adesione degli Enti Locali alla rete SAI, spingere affinché quello territoriale e decentrato diventi l’unico sistema di accoglienza in Italia, superare il ricorso ai CAS, divenuto nei fatti da straordinario a strutturale, diventa una delle vie principali con cui il Paese può iniziare a recuperare il ritardo maturato in questi venti anni di politiche migratorie.
Silvia Proietti
(19 luglio 2022)
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