Ius scholae: la propaganda e i rinvii che minacciano la riforma

Ius scholae: rinviata ancora la discussione alla Camera sulla proposta di riforma della cittadinanza, che pure ha superato un lungo iter per la sua formulazione, fatto di ostacoli a non finire e richieste di emendamenti a pioggia. Lo scontro sullo Ius scholae infiamma il dibattito politico, esattamente come nel non troppo lontano 2017 quello sullo Ius soli. Ma quali sono i termini della questione?

ius scholae
Manifestazione per la cittadinanza al Pantheon del febbraio 2017. Tempi diversi ma la stessa battaglia, foto di GMA per Piuculture

Lo spauracchio dello Ius soli

Dichiarazioni di esponenti politici e i titoli di giornali hanno di nuovo sollevato lo spauracchio dello Ius soli, diventato l’arma con cui le forze politiche ostili alla riforma della cittadinanza tentano in ogni modo di ostacolarla. Si è arrivati a parlare di “Ius soli mascherato”, senza alcuna attinenza tra le due proposte di riforma della cittadinanza e le realtà che sottendono. Lo Ius soli è il diritto alla cittadinanza acquisito per il fatto di essere nati in un Paese, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori. Con lo Ius scholae, invece, che propone l’acquisizione della cittadinanza al termine di un percorso formativo nel Paese in cui si intende richiedere la cittadinanza, si pone in risalto l’aspetto dell’integrazione, della formazione e dell’appartenenza che trova espressione nella scuola intesa come massimo presidio di cittadinanza. Si tratta, come si può ben vedere, di due concetti molto differenti tra loro.

La minaccia dei “non italiani in Italia”

Questo non basta, tuttavia, per placare la propaganda ostile alla riforma della cittadinanza e, sarebbe più corretto riconoscerlo, alla componente dei “non italiani in Italia” in generale. Se in una prima fase si è concentrata sul paragone con lo Ius soli, in un secondo momento si è lanciata a proporre un’associazione con la delinquenza giovanile attraverso un pericoloso accostamento del diritto alla cittadinanza al tema della sicurezza.

 

Il tweet di Alex Bazzaro, deputato della Lega
Un esempio di tweet lanciati in questi giorni dal leader della Lega Matteo Salvini

Si tratta di un revival che sembrava affievolito da qualche anno, da quando prima con il Covid e poi con l’emergenza ucraina, il fenomeno migratorio aveva finito per perdere i connotati di minaccia con cui era stato fino a quel momento caratterizzato. A poco giova, inoltre, alla causa della riforma della cittadinanza l’appiattimento acritico che si origina dall’accostamento tra le problematiche dei cosiddetti “italiani senza cittadinanza” a quelle dell’accoglienza e dell’immigrazione in generale, due tematiche sì accomunate ma anche portatrici di specifiche istanze.

Sorge il sospetto che le fantomatiche proposte di conferimento della cittadinanza per meriti sportivi per gli atleti di origine straniera nelle squadre italiane, sorte nell’euforia delle vittorie olimpiche dello scorso anno, siano veramente l’unica soluzione in grado di mettere d’accordo le diverse forze politiche. Un’idea pericolosa, per cui un diritto diventa un premio da conquistarsi per qualche merito eccezionale. Ma se “uno su mille ce la fa”, come cantava Gianni Morandi nel lontano 1985, significa che 999 restano indietro e vengono privati di un diritto. Il tiktoker Khaby Lame, che ha raggiunto negli ultimi anni enorme popolarità, ha ottenuto pochi giorni fa la conferma del conferimento della cittadinanza attraverso un tweet del sottosegretario al ministero degli Interni Carlo Sibilia, con una spettacolarizzazione che mal si adatta al contesto.

Il tweet del sottosegretario agli Interni Carlo Sibilia con la comunicazione della concessione della cittadinanza al tiktoker Khaby Lame

Ius Scholae e cannabis contro le “priorità del Paese”

Nel dibattito pubblico si è venuto a creare un accostamento inusuale, volto a delegittimare ulteriormente la battaglia per la riforma della cittadinanza: quello con la discussione parlamentare in merito alla legalizzazione della cannabis. Due temi tra cui sarebbe difficile trovare un nesso, se non con un titanico sforzo teso alla delegittimazione di entrambi e delle forze politiche che se ne fanno promotrici. Ma nulla è impossibile quando l’unico criterio di azione politica diventa la rincorsa spasmodica del consenso e il gioco è ben presto fatto: legalizzazione della cannabis e riforma della cittadinanza diventano così due temi che deviano l’attenzione dai “veri problemi quotidiani di milioni di italiani” e dalle urgenze del Paese, lasciando intendere che in una democrazia compiuta e consolidata come la nostra non ci sia spazio per affrontare più questioni contemporaneamente. Questa delegittimazione ignora volutamente, inoltre, come la mancata concessione della cittadinanza si concretizzi in problemi di ordine quotidiano per migliaia di giovani stranieri. Senza cittadinanza infatti non è possibile votare, accedere a sussidi, come borse di studio erogate da enti privati e via dicendo.

Non meraviglia, dunque, se in un clima tanto accesso in cui torna pericolosamente in auge la contrapposizione italiani (autoctoni) e stranieri, risuoni l’allarme lanciato da Amnesty International nel suo barometro dell’odio qualche settimana fa: “su 10 commenti che toccano [il tema della riforma della cittadinanza] quasi 8 hanno accezione negativa (76,5%) e più di 1 (14,8%) è offensivo e/o discriminatorio o hate speech”.

Eppure le storie di Simohamed, Nancy e Mamadou, tra le tante che abbiamo raccontato negli anni sul nostro giornale, fotografano un quadro radicalmente differente. Non c’è delinquenza, non c’è droga né disprezzo degli italiani nelle storie di chi quotidianamente vive e lavora in un Paese che tanti problemi ha nel riconoscere un semplice diritto fondamentale: quello di riconoscersi parte di un territorio e di trovare un proprio posto nel mondo.

Silvia Proietti
(7 luglio 2022)

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