LIMITE – Parola-chiave per l’emergenza clima e la Cop 27

All’apertura della Cop 27, vertice ONU per i cambiamenti climatici, il Segretario Generale Guterrez aveva usato parole chiare: “l’umanità ha una scelta: cooperare o perire!”. Parole derivanti dalla consapevolezza che il disastro ambientale a cui ci stiamo avvicinando sempre più rapidamente impone unità nelle decisioni lungimiranti e soluzioni radicali, le quali a loro volta richiedono un cambiamento di stile di vita e di approccio culturale.

La Cop 27 e i danni dell'emergenza clima. Fonte Google
La Cop 27 e i danni dell’emergenza clima. Fonte Google

Le conclusioni della Cop 27 in sintesi:

  • istituzione di un fondo per rimediare ai danni causati dal cambiamento climatico, Loss and damage, finanziato dai Paesi ricchi, più responsabili dei danni ambientali, ma nessuna indicazione precisa dei beneficiari di tale fondo né di quali Paesi devono contribuire di più (verrà deciso da un comitato);
  • riconfermato l’obiettivo della riduzione di 1,5 gradi di riscaldamento rispetto all’era preindustriale, ma sarà graduale;
  • decarbonizzazione ma autorizzate le esplorazioni per l’estrazione di combustibili fossili: gas e petrolio.

Esperienze e parole per un cambiamento culturale

Difficile partire da queste conclusioni per guardare al futuro con fiducia! Nel mondo, invece, un approccio culturale diverso si esprime qua e là con parole che hanno un senso nuovo e si traduce in esperienze positive. Per es. quello dell’attivista indiana Vandana Shiva  che si batte per i diritti umani legati a quelli della Terra; o delle piccole realtà che sperimentano nuovi modelli di agricoltura sostenibile e di autonomia energetica (le Cer). Realtà da guardare con maggiore attenzione, che possono delineare la direzione in cui andare.
Il cambiamento climatico, che è la vera emergenza, impone scelte radicali, incompatibili con la continuità del nostro modello economico di capitalismo estrattivista e della cultura a esso legata. Il mondo ha puntato allo sviluppo tecnico scientifico in funzione dell’economia, alla produzione senza limite e rispetto delle leggi della Terra e delle comunità locali, distruggendo foreste, distorcendo gli equilibri tra acque e terra, costringendo popolazioni o persone ad abbandonare il territorio e migrare.
Amitav Ghosh, nel suo recente libro La maledizione della noce moscata. Parabole per un pianeta in crisi, scrive che dietro il benessere che abbiamo costruito, con tutte le importanti conquiste dei diritti e della democrazia, c’era una zona d’ombra, quella creata dalla ferocia con cui il colonialismo ha spazzato via intere popolazioni indigene: una parte della storia europea con cui ancora non abbiamo fatto pienamente i conti. Se oggi il futuro della specie umana è in pericolo le cause vanno ricercate in questa storia. Da lì derivano la visione della natura come risorsa da sfruttare e non come entità viva, autonoma, e la negazione dell’interazione tra uomo e natura, che invece caratterizzava le culture dei popoli indigeni.
La crisi del sistema capitalistico e della relativa cultura “è dovuta al venir meno dell’orizzonte stesso su cui si fonda la sua esistenza: il futuro… Nessuno ne è più consapevole dei miliardari che stanno in cima al capitalismo globale – da ciò deriva la corsa alla fuga su Marte e per i meno ricchi l’acquisto di bunker e rifugi sotterranei”.

Parola-chiave per il cambiamento che serve

Limite: è questa la parola che ci serve come punto di partenza per costruire un pensiero e un linguaggio nuovi e condivisi.
Perché il senso del limite ci ricorda che c’è altro al di fuori e al di sopra di noi, svela l’illusione della potenza dell’uomo dominatore; ci educa al rispetto di tutti gli esseri viventi e al sentirsi parte della comunità come alternativa alla solitudine dell’individuo.

Luciana Scarcia
(21 novembre 2022)


Leggi anche: