8 marzo: la comunità afghana a Roma celebra la donna

Per la giornata internazionale della donna, la comunità afghana di Roma ha organizzato una serata interamente dedicata alle proprie connazionali. Per l’occasione, le donne afghane presenti nella capitale si sono fatte portavoce della cultura del loro Paese nella città che le sta ospitando.

Studentessa universitaria afghana a Roma. Sullo sfondo, la bandiera dell’Afghanistan

Festa della donna nella comunità afghana a Roma

Da ormai oltre un secolo, l‘8 marzo si festeggia nel mondo la cosiddetta festa della donna. Una giornata dedicata alla celebrazione delle conquiste ottenute dal genere femminile in campo politico, sociale, artistico, economico.

Quest’anno, nella sede dell’associazione della comunità afghana a Roma, sono state consegnate onorificenze a riconoscimento dell’impegno nel testimoniare le rivendicazioni della comunità femminile afghana al di fuori dei confini nazionali.

Kaihan Mashriqwal e Idrees Jamali – presidente e vicepresidente dell’associazione della comunità afghana in Italia – insieme ad una delle organizzatrici della festa

Nell’arco della serata si sono succedute sul palco della sala le voci delle donne afghane che, a vario titolo, sono attualmente soggiornanti a Roma e dintorni. Le giovani donne hanno espresso pensieri e propositi riguardo al futuro della condizione femminile, in Afghanistan e nel mondo. E, per coloro che vi hanno assistito, il messaggio si è dimostrato tanto più incisivo perché espresso in un clima di pur appassionata lievità.

Comunità femminile afghana a Roma

Studentesse che, grazie a borse di studio erogate dall’università La Sapienza di Roma, e all’impegno di interi dipartimenti della stessa, possono vivere in Italia e coltivare la propria istruzione e emancipazione personale. Oppure madri e padri, in Italia già da qualche anno, che stanno ora crescendo qui i propri figli. Una nuova generazione che non dovrà soffrire le vessazioni degli integralismi dai quali sono stati oppressi i genitori nei territori di provenienza. 

La seconda generazione di afghani in Italia

Ognuna delle donne afghane che ha partecipato all’incontro ha accennato alla propria specifica esperienza di emigrata, alle vicissitudini passate nel Paese d’origine prima di giungere in Italia, alle traversie per potervi arrivare. Alcune hanno ricordato i giorni vissuti sotto il regime talebano, e la ricerca delle rispettive famiglie di un luogo più sicuro nei Paesi confinanti, come il Pakistan, fortemente avverso al governo totalitario afghano. 

Comunità femminile in Afghanistan

Ma la vera celebrazione, palpabile nell’aria, è stata quella rivolta alle milioni di donne che ad oggi vivono in Afghanistan sotto il regime fondamentalista talebano. Non vengono riconosciuti loro diritti fondamentali quali studiare e lavorare. A loro viene vietato di scoprirsi il volto in presenza degli uomini e, a volte, anche solo di camminare sole per strada.

Donna musulmana coperta dallo chador

La festa è intimamente dedicata a tutte loro. A quelle madri che si affrancano dai loro figli affinché questi possano vivere liberamente la loro vita all’estero. A quelle madri che vedono morire i loro figli, ad un passo dalla libertà, nel tentativo di sottrarsi al giogo perverso del fanatismo religioso. 

La festa è idealmente dedicata alle bambine afghane, la cui istruzione è fortemente compromessa. Alla sorella più piccola che Abu ha lasciato circa cinque anni fa, insieme con la famiglia, nella provincia di Koran, prima di intraprendere un interminabile viaggio via terra, da Oriente ad Occidente, che lo avrebbe portato fino a Roma. 

Comunità maschile afghana a Roma

Abu è il più giovane tra tutti gli afghani presenti; almeno tra gli afghani che hanno vissuto un periodo della vita nel proprio paese d’origine. Ha aiutato ad organizzare la festa, che lascerà per ritornare nella Casa famiglia dove alloggia, in una zona della città non distante dalla sede dell’associazione. Insieme a lui, altri giovani uomini hanno collaborato e assistito agli interventi delle loro connazionali. Anch’essi con le proprie storie da raccontare. Ognuno lontano dai propri affetti primari.

L’Afghanistan a Roma, o la ricchezza delle differenze

L’Afghanistan è un territorio molto differenziato sotto il profilo etno-linguistico. Un’eterogeneità che ha condizionato la piena comprensione verbale anche all’interno del microcosmo creatosi durante la serata. Un’atmosfera polifonica nella quale si sono mescolate più lingue, senza tuttavia che ne prevalesse alcuna. Il pashtu, dell’area a sud del Paese, parlato prevalentemente dal gruppo maschile; il dari, che il caso ha voluto fosse la lingua compresa dalla maggiorparte della presenza femminile della serata; l’inglese, parlato da studentesse e ricercatrici canadesi presenti all’evento. Infine l’italiano, lingua “ospite”, del Paese ospitante. 

Festa della donna afghana: un canto a più voci

Primo pomeriggio. È ancora presto perché la festa incominci. Kaihan Mashriqwal e Idrees Jamali – rispettivamente presidente e vicepresidente dell’associazione della comunità afghana in Italia, da anni riferimento per gli immigrati connazionali nell’area metropolitana di Roma – hanno predisposto ogni cosa per la serata, e attendono l’arrivo delle invitate.

Un giovane afghano suona il rubab, tipico strumento musicale del Paese

Un giovane uomo entra nel locale portando con sé uno strumento a corde, ignoto per i canoni occidentali, ma tipico della musica classica afghana, il rubab.
Come in ogni opera che si rispetti, anche qui sarà un preludio strumentale a introdurre quello che in seguito si concretizzerà come un canto a più voci: le molteplici testimonianze di giovani donne afghane che cercano solo di essere se stesse. In un Paese – in un mondo – che ha disperatamente bisogno che lo siano. Fino in fondo. 

 

 

Fabrizio Santomauro
(15 marzo 2023)

 

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