Il G8 di Genova del 2001 è stato teatro della più grande manifestazione pro-migranti in Italia. Il 19 luglio 2001 più di 50.000 persone hanno sfilato per le vie della città nel cosiddetto “corteo dei migranti”, la prima grande manifestazione totalmente pacifica dei 3 giorni di proteste del controsummit No Global e pacifista. Cosa è cambiato nel modo in cui si parla di migranti dal 2001 ad oggi?
Mobilità umana e globalizzazione al G8 di Genova
Roberto Demontis, fondatore dell’Associazione Città Aperta di Genova, nel luglio 2001 è stato tra i 18 portavoce del Genoa Social Forum (GSF), la rete di 1187 sigle tra cui associazioni laiche e cattoliche, partiti, centri sociali, sindacati e ONG italiane ed estere che hanno animato le proteste del controvertice del G8. “Nei tavoli di discussione del GSF noi associazioni del Forum Antirazzista genovese abbiamo letteralmente imposto una marcia per i migranti. Già da allora avevamo previsto la società in cui oggi ci troviamo a vivere e avevamo compreso che quello della mobilità umana sarebbe stato un tema importante in un mondo dominato dalla globalizzazione.
Alla logica securitaria con cui la destra iniziava a monopolizzare il discorso sulle migrazioni, volevamo contrapporre un discorso differente: non sicurezza per gli italiani, ma sicurezza per tutti. Solo con l’estensione dei diritti di cittadinanza, favorendo la partecipazione di tutti, si può raggiungere questo scopo. Ma sembra che ancora non l’abbiamo ben capito.”
Il racconto del G8 di Genova: non solo violenze
Nella narrazione delle giornate convulse del luglio 2001, dominata dagli scontri tra black bloc e forze dell’ordine, dall’uccisione del 23enne Carlo Giuliani a Piazza Alimonda, dalla “mattanza messicana” della scuola Diaz e dalle torture di Bolzaneto, sembra quasi messo in secondo piano il racconto di questa prima giornata pacifica di manifestazioni. “Il corteo del 19 luglio fu un’assemblea globale, partecipata e in buona parte spontanea che superò le nostre iniziali aspettative. Noi volevamo portare in piazza migranti in carne e ossa: curdi, iraniani, tunisini, nigeriani. Molti di loro accorsero anche da Francia e Germania e ad essi si unirono tante altre associazioni, come le Madri di Plaza de Mayo, e migliaia di singoli manifestanti. Le manifestazioni del pomeriggio culminarono poi nel concerto di Manu Chao, che fu partecipatissimo.
Tutta questa partecipazione e le stesse modalità in cui si scendeva in piazza oggi sono impensabili. Dal 2001 il mondo è cambiato, non dimentichiamo che neanche due mesi dopo il G8 di Genova sono crollate le Torri Gemelle con tutto quello che ne è conseguito. Il tema dello ‘scontro di civiltà’ ha pesato molto sul discorso intorno alle migrazioni.”
L’Associazione Città Aperta di Genova
La storia dell’impegno di Roberto Demontis ha radici nel movimento dell’Autonomia Operaia e approda nel mondo dell’immigrazione con il progressivo configurarsi del centro storico di Genova come residenza di un numero sempre maggiori di migranti. “L’attività dell’Associazione Città Aperta nasce e si sviluppa nel centro storico di Genova nei primi anni ’90 e non sarebbe potuto essere altrimenti, perché è proprio nei vicoli della città vecchia che noi residenti ci siamo trovati a vivere faccia a faccia con decine e decine di migranti venuti ad abitare nei bassi sovraffollati. Nello stesso periodo comincia la martellante propaganda della Lega contro ‘clandestini’, ‘vucumprà’, ‘extracomunitari’ e via dicendo. Noi volevamo reagire a questa retorica e volevamo farlo non da italiani che aiutano gli stranieri, ma da cittadini del centro storico di Genova che si rivolgono ad altri cittadini, dando loro possibilità di esprimersi e partecipare attivamente, seguendo un percorso di dialogo continuo e di educazione informale alla cittadinanza.”
La complessa geografia delle migrazioni
Il mondo delle comunità migranti è composito, ogni comunità ma anche ogni categoria all’interno della stessa comunità è portatrice di istanze proprie e ci interroga su specifiche questioni. “La geografia dell’immigrazione a Genova è cambiata molte volte in pochi anni: si è passato dai giovani subsahariani dei primi anni, quasi esclusivamente uomini, alla migrazione di donne sudamericane, principalmente peruviane e ecuadoriane, senza contare le grandi comunità di albanesi, nigeriani e cinesi.
Oggi il discorso sui migranti si è fatto ancora più complesso, come è giusto e normale che sia. Al ragionamento sui rifugiati si affianca quello sui MSNA, siamo ormai arrivati a parlare di seconde e terze generazioni di migranti che, sebbene meno vincolati alla logica comunitaria e più atomizzati rispetto al passato, talvolta risentono ancora di idee e valori molto distanti dai nostri. Parlare di omosessualità e diritti delle donne a membri di comunità contraddistinte da dinamiche interne estremamente violente è un lavoro che richiede costanza. Dobbiamo riconoscere inoltre che esistono comunità, come per esempio quella bangladese, molto chiuse e difficili da intercettare.
A questo universo composito la politica continua da decenni a dare le stesse risposte insoddisfacenti e calate dall’alto, secondo una logica securitaria di fondo mai accantonata. Sono anni che combattiamo giustamente contro la Legge Bossi-Fini, ma ci siamo accorti per esempio che i CPT, poi CIE e poi CPR, sono stati istituiti con la precedente Turco-Napolitano?”
Silvia Proietti
(16 luglio 2023)
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