Le BANLIEUE e noi: integrazione (fallita) e stato sociale

La rivolta delle banlieue francesi ripropone con drammatica urgenza una riflessione su cosa intendiamo per integrazione degli immigrati, sulla crisi dello stato sociale e della democrazia.

Banlieue, integrazione fallita. Foto da google
Banlieue, integrazione fallita. Foto da google

1 miliardo di danni e quasi 4000 arresti dicono della rabbia violenta e distruttiva dei protagonisti di queste proteste: giovani e giovanissimi, maschi, figli, nipoti di immigrati africani. La violenza è un male fatto ad altri e una ferita alla democrazia, quindi è un dovere di persone, cittadini e istituzioni condannarla con fermezza. Ma è altrettanto un dovere chiedersi se questa democrazia nel suo concreto funzionamento – non solo nelle leggi ma anche nelle realizzazioni e nei comportamenti – rispecchi effettivamente i valori che la ispirano.

Le banlieue e i valori della democrazia

La parola “banlieue”* evoca nelle nostre menti l’associazione con marginalità sociale e violenza, come venne profeticamente raccontato nel 1995 dal film di Kassowitz “L’Odio” e come già dimostrarono le rivolte del 2005, durate per giorni in varie periferie francesi, dopo la morte di due ragazzi inseguiti dalla polizia; con la stessa dinamica, quindi, di quelle dei giorni scorsi.
Dalla Francia abbiamo imparato i valori di Libertà Uguaglianza Fratellanza/Solidarietà, che sono alla base della cultura dei diritti di ogni persona e che, insieme alle idee di progresso, benessere e cultura per tutti, hanno fatto dell’Europa la meta di chi cerca la vita e una vita migliore. Ora, però, da quello stesso Paese arriva un segnale di fallimento, che ci interroga tutti sullo scarto — divenuto con il neoliberismo sempre più ampio — tra leggi e principi, da una parte, e comportamenti e azioni, dall’altra, condannando alcuni all’esclusione e garantendo a pochi il privilegio. E c’è da chiedersi anche se la parte “sana” della popolazione sia davvero portatrice di quei valori.

Modelli di integrazione, risentimento sociale, conflitti tra poveri

Il modello francese di integrazione è di tipo assimilazionista: lo stato laico favorisce l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza riconoscere diritti speciali alle minoranze etniche (V. riconoscimento cittadinanza). Questo modello conteneva in sé l’eredità del passato coloniale e un razzismo sotterraneo (che appartengono anche alla nostra storia). Quando la crisi dello stato sociale ha messo in discussione servizi, lavoro, scuola, sanità si è aperta la contraddizione tra aspirazione ai diritti, dichiarati nelle leggi, e esclusione di fatto.
C’è un’altra questione, oltre alle diseguaglianze, che gli avvenimenti francesi ci segnalano in modo evidente, riscontrabile anche da noi: le divisioni all’interno degli strati sociali svantaggiati delle periferie, le divisioni tra “penultimi” e “ultimi”. Un unico risentimento sociale che si sfoga in modo diverso e su chi sta peggio; risentimento nutrito dai valori della destra di identità etnica, patria e famiglia, sicurezza. E su tutti, esclusi e più esclusi, domina la cultura della competizione, dell’individuo che deve farsi valere senza la mediazione con il prossimo.

Dalle banlieue a noi: trasformare il pessimismo in azioni per il futuro

Difficile essere ottimisti per il futuro. E tuttavia c’è molto da fare! Cominciando a dare voce agli immigrati rendendoli soggetti attivi della vita sociale e inquadrando proposte, azioni, iniziative all’interno di una politica che combatta ogni forma di emarginazione; una politica, cioè, che consideri gli immigrati cittadini i cui bisogni sociali e culturali esigono la stessa attenzione degli altri precari, disoccupati, sottopagati. Con proposte concrete su obiettivi comuni che eviterebbero la guerra tra poveri e favorirebbero la stabilità sociale.
La strada è lunga, perché costruire una direzione comune di contrasto all’esclusione e di sviluppo è tanto più difficile in tempi di crisi e perché la convivenza tra culture diverse è tanto più difficile in un clima culturale impoverito dei valori umani. Ma è l’unica direzione che promette futuro.

*La banlieue
Etimologia della parola banlieue: ban = amministrare, bandire e lieue = luogo/territorio a una lega di distanza.
Da quartieri periferici popolari, da dove partivano movimenti operai e proteste, le banlieue sono state estese per dare alloggio agli strati popolari via via più numerosi per effetto dell’espansione economica e poi, con la decolonizzazione, dal 1961 in poi, sono diventate grandi dormitori per ospitare giovani e famiglie del Maghreb e non solo, manodopera per le industrie francesi. Nonostante piani di sostegno sociale tra la fine degli anni ’70 e la metà dei ’90 e progetti di riqualificazione negli anni 2000, questi quartieri-alveare sono diventati il simbolo di segregazione urbana, ghetti per migranti. Se a livello nazionale il tasso di disoccupazione è del 10,5% e quello giovanile del 26,5%, nelle banlieue sale rispettivamente a 40% e 60%.

Luciana Scarcia
(7 luglio 2023)

 

 

 

 

 

 

 

 

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