
La conferenza nazionale della Caritas del 28 gennaio 2014 ha ribadito l’importanza della conoscenza, reciproca, e del fare rete, nella maniera più virtuosa possibile.
L’argomento dell’incontro era complesso “La salute dei rom: diseguaglianze vissute, equità rivendicata” era complesso e numerosi sono stati i relatori intervenuti per raccontare la loro esperienza ed opinione in merito. Fulvia Motta, Caritas di Roma, ha sottolineato come il lavoro della Caritas nei campi rom abbia avuto fasi importanti “la conoscenza è stata indispensabile. Anche lo stesso perdere tempo per così dire, è servito a comprendere cultura, modi e prospettive diverse, cercando poi di accoglierli. Analogamente la costruzione di una rete ci ha permesso di ottenere risultati migliori e sicuramente più solidi”.
Per spiegare questo tipo di approccio della Caritas la Motta e Salvatore Gerace, si sono serviti dell’immagine del vogatore “inteso come colui che rema guardando ciò da cui si allontana e volgendo tuttavia la schiena alla direzione verso cui si dirige. Un po’ il passato ed il futuro, ed il vogatore vive e lavora nel presente” esplica Gerace nella conclusione.
Gerace e Motta, insieme ad Alice Ricordy sono inoltre i curatori di un testo, presentato nel corso della conferenza, dal titolo “SaluteRom. Itinerari possibili” nel quale si racconta l’esperienza concreta della relazione con la popolazione romanì, sotto la particolare lente d’ingrandimento della salute. “Non vogliamo e non possiamo dare ricette su come risolvere questioni e situazioni difficili, possiamo solo portare il nostro contributo ed illustrarvi le nostre idee in merito, e noi crediamo che più formazione e conoscenza siano indispensabili” ribadisce Alice Ricordy.
Prosegue nella medesima direzione Giorgio Bazzecchi, Romano Drom Onlus, sostenendo che la seconda parte del testo presentato abbia come chiave di lettura quella della partecipazione “ad obiettivi comuni onde evitare il diffondersi di quella che è stata definita la patologia del ghetto che imprigiona letteralmente i rom all’interno dei campi stessi”.

Ancora più accorato è l’intervento di Nazzareno Guarnieri, presidente della Fondazione Romanì Italia, che mira a spostare l’attenzione su un altro fronte, non quello della complessità “siamo appena 5 gruppi etnici e a volte siamo noi stessa popolazione romanì a conoscerci poco”, bensì quello della partecipazione e del protagonismo. “Dobbiamo essere professionali per poter essere protagonisti nelle sedi idonee e portare avanti le nostre problematiche piuttosto che accettare di partecipare a tavoli come burattini, solo questo potrà fare veramente la differenza. Per far questo dobbiamo innanzitutto agire su noi stessi e capire chi siamo, altrimenti come faremo a costruire una strada concreta e duratura?”
Proseguendo sulla linea attiva Doriana Leotta, medico dell’ASL RmD Roma, ribadisce come i giovani rom siano fondamentali ai fini dell’integrazione poiché svolgono un ruolo di mediazione nei confronti dei genitori “è un’opportunità preziosa di ponte che si crea e che va sfruttata al massimo delle sue potenzialità”.
“Se quindi l’immagine fornita l’anno scorso, per raccontare il nostro lavoro, era quella del camaleonte, per la capacità di adattamento con l’ambiente circostante, quest’anno quella vogatore aggiunge un ulteriore tassello”, conclude Gerace.
L’obiettivo è sempre quello di dirigersi verso una meta comune, poiché non ci sono approcci standard, ma tutto va cucito su misura.
Piera Francesca Mastantuono
(30 gennaio 2014)
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