“2G – il nome dato alle seconde generazioni – la vedo come un’etichetta affibbiata”. Annie Gehnyei in arte Karima presenta il suo primo album da solista, dall’eloquente nome 2G, “una protesta contro le leggi sulla cittadinanza, parte di una politica razzista”, ma anche una contestazione al termine in se. “Io mi sento una prima generazione, visto che siamo figli di chi ha vissuto realtà più problematiche, diverse da noi nati qui e che sentiamo di appartenere a due culture”.
Nata a Roma nel 1980 ma di origine liberiana, l’ex Miss Annie – nome adottato nella fase house music della sua carriera – ha sempre avuto musica e ritmo nel sangue: già prima di essere co-fondatrice della label Soupu Music e voce del progetto PepeSoup aveva intrapreso l’attività di ballerina.
Nel nuovo disco è centrale il concetto di identità, di radici. Quando se ne hanno due si ha da una parte una “maggiore ricchezza”, dall’altra diventa più difficile sintetizzarla, “rappresentarla come unica. Va fatta molta ricerca, si devono riprendere i contatti con la storia d’origine. Questo percorso mi ha aiutato per uscire con forza dal vittimismo nei confronti di un sistema razzista che non mi ha mai riconosciuta come italiana, non facendo sentire tale nemmeno me”.
Molte risposte sono arrivate dopo il viaggio in Liberia nel settembre 2013, il primo dopo la guerra civile. “È stata come una rinascita, ho ritrovato me stessa e mi ha aiutato anche per il disco. L’Africa dà tanta forza, in un periodo di crisi e depressione la sua filosofia di vita ti fa combattere con il sorriso. Consiglio a tutte le cosiddette seconde generazioni come me di rivisitare le proprie realtà originarie”.
Nel mirino del nuovo album c’è buona parte della politica italiana, “mi sono ispirata ad artisti afroamericani degli anni ’70, quando si viveva un forte disagio razziale. Dobbiamo renderci conto di essere già una società multiculturale anche se ancora molti sono vecchio stampo, creano stereotipi e slogan che vorrebbero un’Italia solo italiana e bianca. Sarebbe bello tralasciare la politica e basarsi solo sulla musica”.
Da qui la scelta di interpretare ogni testo dell’album in inglese – per l’esattezza in pidgin english, mescolanza dell’idioma ufficiale con quelli locali di chi ha subito un passato coloniale – non solo perché lingua madre. “Non dobbiamo porre confini, comunque le nuove generazioni lo parlano”. Né ci sono limiti di genere musicale, già che Karima spazia dal grime – rap delle periferie inglesi – allo Uk Funky fino al reggae, uno dei primi “amori” d’infanzia. Una carenza del nostro panorama musicale è forse “l’assenza di ricerca, molti artisti emergenti di talento sono costretti a guardare all’estero”.
Un po’ per questo è nata la Soupu Music, come molti indipendenti si è scelto di fondare il proprio progetto, “unica via per emergere. Alcuni rimangono spaesati, bisogna solo capire che direzione prendere. Il primo passo è capire il proprio stile ed il messaggio che si intende lanciare. Un’altra chiave è lo studio continuo”.
Nonostante l’appartenenza all’underground non ci sono preclusioni né verso le major né contro l’esplosione dei talent show. Anche se si rischia di arrivare in alto per poi non riuscire a mantenere la posizione, “all’estero molti sono riusciti a vivere una carriera piena o almeno un trampolino di lancio. Io ora non mi sentirei di partecipare, ma solo perché ho già intrapreso un altro tipo di percorso”. Che ha portato Karima lontano.
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Gabriele Santoro
(23 aprile 2014)
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