Stamattina intorno alle 7.00, i poliziotti sono arrivati in Via Cupa per sgomberare l’accampamento che è nato in questi mesi davanti al centro Baobab, ormai chiuso. Negli ultimi giorni il numero dei migranti che dormono sull’asfalto, coperti da una tenda, se sono fortunati, è cresciuto sempre più fino ad arrivare a circa 300 persone. I volontari del gruppo Baobab Experience sono determinati a non lasciare il presidio fino a che non avranno ottenuto un posto degno per accogliere i transitanti, assicurando loro un pasto e una brandina. Via Cupa, soprattutto di notte, assomiglia sempre più a un girone dantesco, e come tanti Caronte i poliziotti questa mattina portano i migranti verso il prossimo inferno.
12 luglio 2016
Via Cupa: l’accoglienza di strada in attesa di un nuovo centro Baobab
In Via Cupa è tornata un’altra estate. Giovedì 23 giugno la strada è chiusa al traffico, giornalisti, volontari, curiosi sono radunati intorno a Luigi De Magistris e Yannis Varoufakis, due volti dei tanti che in questo anno hanno scelto di sostenere Baobab Experience, il gruppo di volontari nato un anno fa. E che nonostante la chiusura del centro Baobab, continua a lavorare quotidianamente per assicurare un pasto e un letto ai migranti che passano da Roma.
Lo scorso anno nei mesi estivi la struttura ha ospitato fino a 500 persone in una sola notte. Quest’anno le cose sono cambiate: i muri di Via Cupa sono tappezzati di murales, i colori sono il contributo che alcuni artisti hanno dato alla causa, su un lato della strada c’è una fila di 10 tende da campeggio, è un accampamento di circa 40 posti letto, e il cancello del civico 5 è chiuso. Nell’ex vetreria regna il vuoto e il silenzio.
Quando i giornalisti e i sostenitori dei due politici si diradano, i volontari cominciano a servire la cena. I migranti, tutti uomini e giovanissimi, sono ancora un po’ turbati dalla folla e dal pomeriggio di parole, per loro, incomprensibili. Qualche cronista si trattiene anche dopo Varoufakis e De Magistris, filma la cena servita in strada, le tende, i ragazzi che chiacchierano tra di loro. Uno gli fa un cenno secco col capo e con le dita: “No video!”.
Alcuni sono seduti intorno a un tavolo piazzato sull’asfalto, osservano una cartina e consultano quaderni di appunti. Alle loro spalle, sulla parete esterna dell’ex vetreria, è appeso uno specchio: quello che resta sono solo stanze a cielo aperto.
Un ragazzo ha due cicatrici lungo le braccia, e un altro, mima le frustate e gli dice: “Libia!”. Con una sola parola descrive l’orrore delle torture che i migranti sopportano dopo l’inferno del deserto e prima dell’incertezza del mare.
Francesco, volontario, spiega che Via Cupa per i migranti è l’ultima spiaggia. Funziona così: “Quando qualcuno arriva, cerchiamo di ottenere le informazioni di base: se ha i documenti, quanti anni ha, da dove arriva e dove è diretto”. L’obiettivo è trovare un posto al Centro A28, quando si tratta di minorenni, o nella struttura in Via del Frantoio, per alcuni dei maggiorenni. I ragazzi provengono dal Sudan, dall’Eritrea, dall’Etiopia, dalla Somalia. E il centro della Croce Rossa può accogliere solo coloro che rientrano nel programma di relocation, ovvero eritrei, siriani, iracheni e palestinesi che hanno vissuto in Siria.
Nessuno ha il posto assicurato. Se troveranno una sistemazione migliore di una brandina in una tenda di strada, “dipende dal giorno, da quante persone sono partite o sono rimaste nei centri”, dice Francesco. Poi indica Ahmed, un ragazzo molto giovane: “Lui, ad esempio, è andato in commissariato a denunciare la sua situazione e a richiedere protezione in quanto minorenne, con la visita hanno stabilito che è maggiorenne e hanno emesso un decreto di espulsione. Ora la sua pratica è in mano agli avvocati di Save The children”. Ma nel frattempo tutto quello che ha a disposizione Ahmed è una brandina poggiata sull’asfalto. Mentre parliamo arriva un ragazzo con un documento tra le mani, ha la scabbia e i medici, tra le altre cose, gli hanno prescritto una doccia. Tra i volontari si cerca chi può accompagnarlo in macchina fino a Via del Frantoio, gli ospiti delle tende hanno a disposizione solo quattro bagni chimici, acquistati dai volontari.
Francesco chiede aiuto a Nadim per comunicare con lui. Nadim è arrivato in Italia dalla Tunisia nel 1987, conosce l’arabo, il francese, l’italiano e qualche parola di wolof. Lavora nel settore marketing di una compagnia aerea, e dall’agosto dello scorso anno frequenta il Baobab. “La mia è una storia di migrazione nemmeno paragonabile alla loro. Sono arrivato qui in aereo per finire gli studi, e anche con la burocrazia non c’erano tutti i problemi che ci sono adesso”.
Anche Mamoud viene dalla Tunisia e ha 16 anni. “Proveniamo da uno dei paesi che vivono una situazione migliore in questo momento, ma alcune zone restano estremamente povere”, spiega. Mamoud arrivato in Italia il 16 maggio. Lui in Italia vorrebbe restare e terminare gli studi. L’obiettivo è trovare un lavoro ”qualsiasi, l’importante è che sia lecito”, dice. Il viaggio che l’ha portato fino a Lampedusa gli è costato 1.200 euro, per pagarli Mamoud ha lavorato in una fabbrica di marmo e suo padre ha chiesto un prestito. “È giovanissimo, ha il diritto di provare ad avere una vita migliore di quella che gli riserva il suo paese”, conclude Nadim.
La cena è finita, i volontari mettono tutto in ordine e spazzano il selciato. Curano la porzione di strada, in attesa che le istituzioni trovino una collocazione per le loro attività di accoglienza.
Poi si avvicinano i vigili: “Abbiamo riaperto il traffico dopo la fine della manifestazione coi politici, fate attenzione perché le macchine tornano a circolare”. Da quando qualche settimana fa la polizia aveva sgomberato l’accampamento perché le tende erano arrivate fino a via Tiburtina, i vigili sono diventati una presenza fissa. Volontari e istituzioni sono arrivati a un compromesso: le tende non devono oltrepassare Via Cupa. Come se in questi confini fosse tutto normale.
Rosy D’Elia
Foto di Adamo Banelli
(28 giugno 2016)
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