Ramadan alla casa occupata: l’Iftar multietnico a piazza Bologna

Iftar alla casa occupata- foto di Tommaso Magherini

Sono le otto di sera a viale delle Province 198, nello stabile occupato. Alcuni bambini giocano a calcio in cortile, altri pattinano, gli adulti sono pochissimi, solamente quelli che fanno il picchetto. “E’ Ramadan” spiegano “si stanno tutti preparando per l’Iftar”.
Stasera ci sono ospiti esterni e la festa si fa ancora più grande. E’ venuto a celebrare l’Iftar anche Tommaso, un ragazzo toscano interessato alle tradizioni islamiche.
Sale al quinto piano del palazzo da Mustafa, che è marocchino ma vive in Italia da dieci anni. Il giovane sta aspettando i suoi connazionali per rompere il digiuno.
“L’altro giorno sono venuti degli amici francesi” dice Mustafa “per noi è molto importante l’ospitalità e condividere questo momento anche con chi non è musulmano”.
Arriva un amico con la spesa e si accordano sulla casa in cui mangiare. “Il bello del Ramadan è che si diventa molto generosi, se non si ha cibo le altre persone te lo danno. E’ giusto invitare la gente”.
Le otto e quarantacinque si avvicinano e la fibrillazione cresce nell’aria.
“Il digiuno fa bene alla salute perché ti depura, ma dato che il fegato sta fermo per otto ore, è importante sapere quello che devi mangiare durante il Ramadan” racconta Mustafa mentre taglia le verdure “bisogna fare una buona colazione: frullato, uova sode, pomodori con cipolla”.
La cena è quasi pronta e ci si può spostare al sesto piano, a casa di uno del gruppo: la tavola è imbandita con dolcetti marocchini, datteri, latte, fichi, pane tipico, zuppa e uova sode da un lato.
Nella sala adiacente, un lungo divisorio, con un fornelletto su cui cuoce la carne, ospita foglie di menta per il tè e tanti altre prelibatezze.
La prima cosa che viene offerta a Tommaso è l’Harira, una zuppa tipica che si mangia per il Ramadan, che viene accompagnata con datteri e Chabakkia, biscotti di mandorle e miele. “Queste cose le preparano le donne, sono bravissime. Al resto ci abbiamo pensato noi” spiegano, e aggiungono “le donne oggi non sono presenti ma di solito mangiano insieme. I più osservanti celebrano l’Iftar separatamente, ma per noi non ci sono problemi”.
“Sul tavolo non c’è quasi niente” dice Salim ridendo “facciamo quello che possiamo. Al paese ci sarebbero stati molti più dolci e avremmo ucciso un animale per l’occasione”. Venuto dalla Tunisia, più precisamente dal Sahara, Salim è in Italia da un anno e offre a Tommaso una Kefta, polpetta marocchina di manzo, per accompagnare la zuppa. “Lì si sta con la famiglia” spiega “ma qui molti di noi non ce l’hanno e allora mangiamo con gli amici. E’ il bello di stare in una casa occupata, non sei mai solo”.

Iftar alla casa occupata- foto di Tommaso Magherini

L’ospite viene riempito di cibo mentre gli altri commensali appena lo toccano.
“Quando hai fame mangi con gli occhi all’inizio, il tuo stomaco non è abituato dopo tante ore di inattività e allora bisogna andare per gradi. Si comincia con il latte poi dopo si passa alle cose più consistenti, per questo la prima parte la chiamiamo colazione”.
Il Ramadan pulisce il cervello non solo il corpo: non puoi dire una parola brutta, guardare una ragazza, non si può fumare. In Italia è più difficile farlo perché quando stai al paese è un rito comune e allora sei meno tentato, qui vai per strada e senti gli odori”.
Piano piano che il tempo passa arrivano anche altri amici, come Othman, di Casablanca, che ha mangiato con il fratello e viene ora per chiacchierare con gli altri o Mohamed che invece stava a cena con la moglie.
Mi piace fare il Ramadan, mi sento più tranquillo, lo osservo da quando ho 15 anni mi sentirei in colpa se no” dice Othman. Tra i partecipanti anche il piccolo Whisky cane mascotte della casa. Li raggiunge infine Rafael, che ha mangiato con i suoi amici sudanesi.
“All’inizio è stato difficile far capire alla gente della casa, soprattutto a quelli che vengono dal nord Africa che io sono musulmano anche se vengo dal Venezuela, in più sono anche sciita, mentre qui sono tutti sunniti. Ma i sudanesi, l’hanno capito subito”.
Mi ha colpito molto la disponibilità con cui hanno condiviso il loro cibo e si sono prodigati nel mettermi a mio agio, oltre alle buonissime pietanze” racconta Tommaso lasciando la casa, ormai alle dieci e mezza “soprattutto se si pensa che vivono in un edificio dismesso dove la lampadina si ripara salendo su un mobile mezzo marcio. Notevole è anche il particolare rapporto personale che ognuno ha con il Ramadan. C’è chi ha enfatizzato l’aspetto tradizionale, chi spirituale, chi di pulizia del corpo”.
Un gruppo di ragazzi marocchini gioca a Ramino nel cortile, “torna a trovarci Inshallah dicono, e un altro Iftar è passato tra condivisione, cibo e chiacchiere, alla casa occupata.

Elena Fratini

14/06/2017

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