Come si vive nelle strutture ponte per l’isolamento dei migranti?

isolamento

A causa della pandemia in atto i migranti richiedenti e titolari di protezione internazionale, prima di poter essere inseriti nel circuito del Sistema di accoglienza e integrazione capitolino, devono sottostare a un periodo di isolamento della durata di 10 giorni. A questo scopo Roma Capitale ha attivato due strutture “ponte”, in collaborazione con INTERSOS e la cooperativa Medihospes, per offrire loro accoglienza. Come funzionano le strutture e come si vive al loro interno? Chi è ospitato e quali difficoltà incontrano non solo i migranti, ma anche gli operatori? Intervista al dottor Andrea Carrozzini, coordinatore unità mobili sanitarie INTERSOS a Roma.

Barzilai

La prima struttura, Barzilai, è un centro di accoglienza ex SPRAR – spiega Carrozzini –. È costituita da un edificio con stanze singole distribuite su 3 piani, di cui uno dedicato alle donne e due a ospitare gli uomini, per un totale di 21 stanze. La struttura permette di accogliere un utente per camera, sono quindi esclusi nuclei familiari o coppie. Ogni stanza è dotata di bagno, il che permette di svolgere l’isolamento prudenziale in modo corretto e secondo le linee guida in vigore. Gli ospiti, tutti provenienti dal circuito SIPROIMI, sono accolti dopo essersi sottoposti a screening sanitario sotto la responsabilità di INTERSOS e vengono ospitati nelle stanze per 10 giorni, con un tampone rapido in entrata e in uscita. Se viene confermata la negatività, dopo i 10 giorni vengono inseriti nel circuito del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) capitolino. Se invece si dovesse verificare la presenza di positività al tampone, l’ospite viene trasferito in un Covid Hotel del Comune di Roma”.

Bakhita

Nella seconda struttura, Bakhita, le unità immobiliari di isolamento ospitano nuclei familiari: sono miniappartamenti adeguati ad accogliere famiglie con bambini. Nel centro – prosegue – forniamo tutto il necessario per il benessere dei bambini nel rispetto dell’età e delle necessità. L’accoglienza al centro Barzilai è iniziata nell’agosto del 2020, mentre il centro Bakhita è stato attivato come centro ‘ponte’ da gennaio 2021. Entrambe le strutture hanno in servizio personale presente 24 ore su 24, in modo da garantire sempre un riferimento e un contatto in caso di necessità”.

Isolamento di uomini, donne e bambini

A Barzilai, dall’inizio del progetto a oggi, sono state accolte 174 persone, tra cui 133 uomini e 41 donne. Attraverso un’organizzazione ciclica vengono ospitate contemporaneamente nella struttura circa 15-20 persone”, specifica Carrozzini.  “A Bakhita, invece, dall’inizio del progetto sono stati accolti 9 nuclei familiari su una disponibilità totale di 6 appartamenti. I nuclei familiari sono presenti esclusivamente nel centro Bakhita, e sono costituiti per lo più da nuclei monoparentali, composti da mamma e bambini molto piccoli. La maggior parte dei beneficiari accolti nei due centri provengono da altre strutture di accoglienza: hanno fatto richiesta di asilo sussidiario o protezione internazionale, ma non mancano casi di persone senza fissa dimora, o che avevano trovato accoglienza in case private presso amici o parenti. Le nazionalità più rappresentate sono per lo più di persone provenienti dall’Africa Sub Sahariana Occidentale, Ghana, Senegal, Burkina Faso, ecc. e dall’Africa Orientale cioè Sudan, Somalia ed Eritrea, ma anche dal Medio Oriente: Iraq, Siria e Afghanistan. Inoltre abbiamo anche persone provenienti dal Bangladesh. L’età media degli ospiti è di 35-40 anni, generalmente di sesso maschile. Nel centro Bakhita l’età media è di 30-35 anni per gli adulti, per lo più mamme, mentre l’età dei bambini, fino a ora, va dai 9 mesi ai 14 anni”.

Il triage sanitario

“INTERSOS ha iniziato da luglio 2020 a collaborare all’attivazione del primo centro ‘ponte’ con l’organizzazione di giornate formative al personale in servizio della struttura, composto principalmente da operatori sociali, assistenti sociali e psicologi. Si è proceduto quindi a ratificare un protocollo fra l’ASL Roma 2, l’Ufficio Immigrazione del Comune di Roma e INTERSOS. Nel protocollo – spiega il dottore – si ufficializza il lavoro di INTERSOS come “triage sanitario” in ingresso dei beneficiari afferenti al circuito SIPROIMI e il loro monitoraggio clinico in caso di necessità. Si sono quindi iniziate a svolgere le visite di valutazione del rischio Covid-19 al momento dell’accoglienza in struttura. L’ospite viene sottoposto a una intervista epidemiologica esplorativa per conoscere i suoi spostamenti e dimore negli ultimi 15 giorni, per comprendere la possibilità o meno di poter essere stato in contatto con casi di Covid-19, accertati o sospetti. Nell’occasione vengono anche chieste informazioni sulla salute in generale, allo scopo di rilevare eventuali problematiche. Se dovessero emergere, monitoriamo il soggetto durante tutto il periodo di permanenza nella struttura e successivamente lo indirizziamo presso i servizi sanitari di competenza. Il team mobile medico provvede a dare indicazioni anche in caso di eventuali visite specialistiche da eseguire al termine dell’isolamento. Al termine della visita di valutazione del rischio, viene rilasciato un certificato con l’esito della visita e indicazioni per eventuali problematiche riscontrate”.

Difficoltà e reazioni all’isolamento

“Le principali problematiche che affrontiamo all’interno dei due centri sono riferibili a malattie croniche degli ospiti come ipertensione, diabete o problemi ortopedici. Alcuni – osserva il dottore – sono carenti di accertamenti diagnostici e terapie adeguate, altri sono senza MMG (medico di medicina generale) o senza documentazione. Si sono riscontrati casi di sofferenza psicologica, a volte psichiatrica. La collaborazione tra INTERSOS e i centri ‘ponte’ permette di monitorare e gestire queste cronicità durante il periodo di isolamento, per poi indirizzarne il trattamento pressi centri specifici. Ovviamente, la difficoltà degli ospiti ad accettare l’isolamento è stata spesso riscontrata e raccontata dalle operatrici e operatori del centro, sempre dotati di grande pazienza e capacità comunicative. Restare chiusi 10 giorni in una stanza rappresenta una difficoltà oggettiva per chiunque, anche se le strutture sono organizzate per fornire più confort possibili durante l’isolamento. Provvediamo anche a fornire kit con materiale informativo sul Coronavirus e dei prodotti per la cura igienica. Offriamo la possibilità di connessione a una linea Wi-Fi per comunicare ed effettuare ricerche in internet, alcuni ospiti sono provvisti di passatempo personali. Il più delle volte le reazioni all’isolamento sono di assoluta tranquillità”.

Aiutare gli “invisibili”

“Il protocollo che è stato attivato con le due strutture ‘ponte’ si è rivelato un ottimo strumento di screening e metodologia di prevenzione nel contesto dell’attuale pandemia, soprattutto in merito al contenimento delle infezioni e la gestione in comunità – conclude Carrozzini –. Forniamo supporto e conoscenza a una fetta di popolazione che sarebbe altrimenti difficile da raggiungere. Questo sia in riferimento a procedure che possano contrastare la diffusione del Coronavirus che ad altre patologie e necessità, vista la difficoltà per queste persone ad accedere ai servizi pubblici e soprattutto sanitari. Basti pensare ai positivi al Covid-19 intercettati attraverso il protocollo, che risultano a oggi essere 11: può sembrare un basso numero a fronte della totalità, ma se non ci fosse stato questo meccanismo di ‘filtro’ e di isolamento, queste persone avrebbero probabilmente, loro malgrado, contribuito a diffondere l’infezione da Coronavirus. La collaborazione che si è instaurata tra INTERSOS, la UOC Tutela degli Immigrati e Stranieri della ASL Roma 2 e l’Ufficio Immigrazione del Comune di Roma ha permesso di soddisfare i bisogni primari di un’ampia percentuale di popolazione della città spesso ‘invisibile’, offrendo una risposta concreta e creando reti di prossimità per la presa in carico multidisciplinare. Ha infine permesso di ripristinare le accoglienze SIPROIMI in totale sicurezza, comprese quelle dei nuclei familiari, permettendone in alcuni casi il ricongiungimento parentale”.

Vincenzo Lombardo
(3 febbraio 2021)

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