Presentato il Rapporto annuale 2021 del Centro Astalli

Rapporto annuale 2021

Il Centro Astalli presenta il Rapporto annuale 2021, uno strumento per capire quali siano le principali nazionalità dei rifugiati che giungono in Italia e quali le principali difficoltà che incontrano. Il Rapporto mostra come la pandemia ha messo in evidenza le lacune insite nel sistema sanitario e nel welfare territoriale italiano, con un notevole aumento delle vulnerabilità dei soggetti interessati. Il Rapporto annuale 2021 è stato presentato nel corso di un evento online che ha visto la partecipazione, tra gli altri, dell’On. David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo, e la testimonianza di p. Stanko Perica, direttore JRS Europa Sud Est.

La pandemia non è il peggiore dei mali

La pandemia, per molte persone, non è il peggiore dei mali: è solo uno dei tanti mali che affliggono la loro vita, come essere in mano ai trafficanti, sopravvivere nei centri di detenzione, essere riportati in un porto che non è sicuro, morire in mare”, spiega il presidente del Centro Astalli padre Camillo Ripamonti. “Mai come nel 2020 gli occhi dei rifugiati che emergevano dalle mascherine improvvisate evocavano un passato, parlavano di un presente e speravano in un futuro. La pandemia gli ha fatti emergere dall’invisibilità, rendendoli in più occasioni gli unici cittadini di città deserte. Molti di loro avevano gli sguardi bassi: per le violenze subite e i soprusi, per le umiliazioni e le disuguaglianze che li hanno costretti a tentare soluzioni di vita lontane da casa, per le settimane o mesi passati nei centri di detenzione. Uomini, donne e bambini che hanno vissuto come in trappola l’anno della pandemia, grazie a politiche sull’immigrazione spesso ideologiche e strumentali, ma soprattutto ‘giocate’ sulla loro pelle. Questa è la situazione in cui si trovano molti, ancora troppi, migranti”.

Il numero degli sfollati è aumentato

“Nel mondo ci sono oltre 80 milioni di sfollati, di cui 45 milioni sono sfollati interni. Un numero considerevole di persone parte da 5 Paesi: Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan e Myanmar. In quest’ultimo Paese la situazione si è ulteriormente aggravata nel corso del 2020, divenendo un’area di grande instabilità, così come nella regione del Tigray in Etiopia. La pandemia ha reso più difficoltosi gli spostamenti: durante il primo picco, ad aprile 2020, circa 168 Paesi hanno chiuso le loro frontiere, e di questi 90 hanno interdetto l’accesso ai rifugiati. Ciò nonostante il numero degli sfollati è aumentato nel corso del 2020. Gli arrivi in Italia via mare sono stati nel 2020 più di 34.000: sono partite dalla Libia e sbarcate sulle nostre coste circa 13.000 persone. Oltre 11.000 migranti sono stati intercettati e riportati indietro dalla [c.d.] Guardia Costiera libica, mentre si stima che più 1400 migranti hanno perso la vita durante la traversata”.

La rotta balcanica

“Anche la rotta balcanica – prosegue Ripamonti – è ritornata di grande attualità nel 2020, mettendo in luce la tendenza da parte dell’Europa a esternalizzare le frontiere e a respingere, da uno Stato all’altro, come in un gioco, i migranti forzati”. Interviene padre Stanko Perica, direttore JRS Europa Sud Est: “purtroppo il numero dei migranti in Bosnia Erzegovina cresce sempre di più, lo Stato ha grande difficoltà nella gestione di questa situazione. Nel 2019 è stato aperto il famigerato campo profughi a Vučjack, una ex discarica senza acqua ed elettricità a pochi chilometri dal confine croato. Nel 2020, dopo l’incendio che ha distrutto il campo profughi a Lipa, diverse centinaia di migranti sono rimasti senza alloggio. Adesso quel numero è salito a 2000 persone, le quali non hanno possibilità di fare una doccia, né di lavare i vestiti, e non possono così prevenire infezioni della pelle come la scabbia. Spesso curiamo anche lesioni fisiche in seguito agli incidenti alla frontiera”.

David Sassoli: “valorizzare la cittadinanza globale”

“Viviamo un tempo di grandi sfide, fra queste le migrazioni sono senza dubbio una priorità assoluta: un fenomeno strutturale che la comunità internazionale deve saper affrontare con spirito unitario e solidale”, afferma David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo. “Nel corso della pandemia la mobilità nel mondo si è ridotta tantissimo e di conseguenza anche le richieste di asilo sono drasticamente diminuite rispetto agli anni precedenti. Ma le situazioni di crisi non si sono arrestate, e per chi ha dovuto abbandonare la propria terra la pandemia è diventata un ulteriore ostacolo. La sfida migratoria rappresenta una grande questione globale, una questione umana e sociale di fronte alla quale l’Unione Europea deve adottare un approccio coordinato e più coraggioso, basato sui principi della solidarietà e della responsabilità. Attraverso la riforma della propria politica sull’immigrazione e sull’asilo la Commissione Europea ha proposto nuove misure che provano a superare il sistema di Dublino e a indicare una via diversa rispetto al passato, non più dettata dalla paura e dall’incertezza, ma orientata a trovare un giusto equilibrio tra solidarietà e responsabilità. Nella gestione dei flussi migratori c’è molto ancora da fare e purtroppo la pandemia ha rallentato l’intero processo, ma spero che i Governi possano tornare presto a discutere e a definire una risposta europea che sia all’altezza della nostra umanità. Come Europa abbiamo il dovere di valorizzare quell’idea di cittadinanza globale e solidale che sta alla base di una società aperta e inclusiva. Servono regole che umanizzino i meccanismi globali legati alle migrazioni, e questo lo può fare solo l’Europa”.

Il distanziamento sociale non deve tradursi in indifferenza

“Auspichiamo, come ha ricordato il presidente Sassoli, che i principi di solidarietà e di responsabilità possano trovare un equilibrio all’interno dell’Europa e che si giunga a regole che umanizzano l’accoglienza”, conclude Ripamonti. “Ma c’è bisogno di tanto coraggio da parte dell’Europa. Il nuovo patto per le migrazioni e l’asilo ci lascia insoddisfatti, perché continua a basarsi su una logica escludente. Non tutti siamo vulnerabili allo stesso modo, e allora nel 2020 il Centro Astalli è stato a fianco dei rifugiati più ai margini. Abbiamo cercato di costruire, anche durante la pandemia, integrazione. Distanziamento sociale non è infatti sinonimo di indifferenza e non è il contrario di prossimità. Nell’anno della pandemia, pur nel rispetto di tutte le indicazioni sanitarie, abbiamo aiutato oltre 17.000 persone, di cui 10.000 solo a Roma. Abbiamo distribuito oltre 50.000 pasti, uniti a presidi sanitari quali le mascherine e disinfettanti per le mani. Il lockdown ha creato difficoltà nel rinnovare i permessi di soggiorno, con conseguente impossibilità per molte persone di iscriversi al servizio sanitario nazionale: un grave rischio durante la pandemia per la salute propria e dell’intera collettività. Ad esempio oltre il 30% delle persone che si sono rivolte all’ambulatorio del Centro Astalli di Palermo non era iscritto al servizio sanitario nazionale. Anche l’accoglienza è proseguita non senza difficoltà, legate alle procedure di ingresso in sicurezza delle persone. Nel 2020 sono state 882 le persone accolte dal Centro Astalli, circa l’uno per cento del totale in Italia”.

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Vincenzo Lombardo
(21 aprile 2021)

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