Oggi, 29 giugno 2022, verrà discussa alla Camera la proposta di riforma della cittadinanza basata sullo Ius Scholae.
In attesa dell’esito del disegno di modifica della L. 91/1992, abbiamo chiesto a tre persone con un passato migratorio, secondo la propria esperienza, quale riforma sul piano delle politiche migratorie e dell’accoglienza è stata più significativa e perché.
Scuola: dove l’Italia è veramente inclusiva
Simohamed Kaabour, presidente di CoNNGGI, non ha dubbi: è sul campo del diritto all’istruzione per gli alunni di origine straniera che l’Italia in questi 30 anni ha saputo legiferare in maniera più efficace e inclusiva. Simohamed ha sperimentato in prima persona lo sforzo della scuola italiana nel rendersi sempre più interculturale, e ha deciso anche di fare di questa esigenza un mestiere: dopo aver lavorato per anni come mediatore culturale, oggi insegna educazione civica e lingua e cultura araba in un liceo internazionale a Genova e nel 2022 ha partecipato alla redazione degli Orientamenti Interculturali. Idee e proposte per l’integrazione di alunne e alunni provenienti da contesti migratori dell’Osservatorio MIUR.
“Sono arrivato dal Marocco in Italia negli anni ’90, in un Paese con pochi gli stranieri nelle strade delle città, ma ancor meno tra i banchi di scuola. Nella mia scuola a Genova eravamo in tutto 6 alunni di origine straniera, aiutati in orario extrascolastico da un maestro di scuola elementare che, per pura iniziativa personale e dedizione, veniva nelle nostre case a turno per farci una o due ore al giorno di lezioni di italiano in orario extrascolastico. In classe le altre maestre promuovevano spontaneamente forme di quello che sarebbe stato chiamato successivamente cooperative learning, per favorire la socializzazione e farci apprendere la lingua viva dai compagni.
Ovviamente nel tempo la situazione si è evoluta: è comparsa la figura del mediatore culturale, punto di contatto essenziale tra scuola e famiglie ma anche tra docenti e alunni, e la scuola è stata costretta a fare i conti con una presenza sempre maggiore di alunni di origine straniera, in un processo che è culminato poi nel 2006 con la pubblicazione delle prime Linee Guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri del MIUR. Nelle scuole, tuttavia, anche se è sentita da molti docenti l’esigenza di un’educazione veramente interculturale, permangono ancora molte differenze territoriali, dovute alla difficoltà di armonizzare le pratiche di accoglienza”.
I riflessi della cittadinanza su lavoro e formazione
Non è bastata la formazione universitaria e una laurea in medicina conseguita presso l’Università di Pavia nel 1988 per garantire a Nancy Myladoor, medico di origine indiana, la cittadinanza italiana. “Sono venuta a studiare medicina in Italia con le mie due sorelle negli anni ’80, ma sono l’unica rimasta a vivere e ad esercitare in questo Paese. Avrei potuto chiedere di essere riconosciuta italiana solo perché mi sono sposata con mio marito, indiano di nascita ma con cittadinanza italiana.
Le altre mie sorelle hanno deciso di lasciare l’Italia dopo la laurea per le difficoltà che i medici di origine straniera, che pure hanno vissuto e studiato qui, incontrano ad inserirsi e a lavorare nel Sistema Sanitario Nazionale italiano, in molti casi costretti ad esercitare la professione in cliniche private con stipendi spesso inferiori a quelli dei colleghi italiani. Una sorella, tornata in India, ha dovuto sostenere degli esami di parificazione da laureata perché Italia e India non hanno stipulato accordi bilaterali per il riconoscimento dei titoli. L’altra, invece, ha vissuto una situazione ancora più paradossale: al momento di trasferirsi in Inghilterra per seguire il marito, ha scoperto che non poteva esercitare la professione per un’impasse burocratica dovuta al fatto che possedeva un passaporto indiano ma una laurea italiana non riconosciuta in India.
Credo che in Italia manchi una reale inclusione lavorativa delle persone di origine straniera, soprattutto nel settore pubblico, fenomeno che non ho riscontrato tra i miei famigliari che lavorano in Inghilterra o in Germania o in Svizzera. L’acquisizione della cittadinanza spesso rimane un ostacolo da affrontare per poter accedere a molte posizioni lavorative: ma se l’attuale legge sulla cittadinanza pone dei vincoli così importanti, come si può sostenere di voler promuovere una reale inclusione?”.
Mamadou: il lavoro in accoglienza e “il gran rifiuto”
Mamadou Mongassouba, operatore in un CAS di Roma e mediatore culturale presso la Questura, rappresenta un caso eccezionale: pur essendo sposato con una donna italiana ha scelto di rinunciare alla richiesta di cittadinanza italiana. “Vengo dalla Mauritania ma vivo in Italia ormai da 12 anni. Sono in possesso di un permesso di soggiorno illimitato e non sento il bisogno di fare domanda di cittadinanza, nonostante questo mi precluda il godimento di alcuni diritti, come quello al voto. Non si tratta di incapacità di compiere tutte le procedure burocratiche previste, visto che fino al 2014 mi sono occupato proprio dell’area legale e sanitaria dell’accoglienza. Forse sono un po’ scoraggiato dalla procedura che, in quanto cittadino della Mauritania, è un po’ più lunga rispetto agli altri Paesi africani, perché qui in Italia non è presente un’ambasciata mauritana ma soltanto un consolato. Ma forse non si tratta neanche di questo.
Mi occupo da anni di permessi di soggiorno e ho assistito a continue riforme in tema immigrazione ad ogni cambio di governo: durata e tipologia dei permessi di soggiorno, modifiche nel campo delle strutture di accoglienza, qualità e quantità dei servizi offerti ai migranti. In questo campo i decreti sicurezza del 2018 hanno dato il colpo di grazia e noi operatori e ospiti dell’accoglienza ne affrontiamo ancora oggi le conseguenze.
Sono un po’ sfiduciato da tante procedure e norme che per me hanno poco senso: conosco, per esempio, due persone in Italia da 13 e 10 anni che, pur avendo versato i 250€ per la domanda di cittadinanza, si sono visti rifiutare la richiesta perché non hanno potuto allegare alla documentazione i CUD degli ultimi 3 anni di lavoro. Ma come si fa a fare una richiesta del genere in una realtà contraddistinta da un mercato del lavoro incerto e spesso paralizzato come quello italiano?
Quando penso ai miei figli, nati italiani grazie alla madre, mi vengono in mente i tanti bambini nati qui da genitori stranieri che però si ritrovano con la cittadinanza di un Paese che non hanno mai visto. Io che ho letto per quattro volte Il Principe di Machiavelli e mi interesso di politica, negli ultimi anni nutro una sempre maggiore sfiducia nella classe dirigente italiana: sarà questa l’occasione per una smentita?”.
30 anni di leggi sull’immigrazione
La L.91/1992 è rimasta immutata nonostante diversi tentativi di riforma, sempre naufragati. In questi trenta anni, tuttavia, si sono susseguiti in Italia diversi provvedimenti nel campo delle politiche migratorie e dell’accoglienza, spesso inclusi nei “pacchetti sicurezza” varati dai vari Ministri dell’Interno o emanati su impulso delle Direttive europee.
Silvia Proietti
(06 giugno 2022)
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