Sono arrivate da differenti paesi dell’Africa, ed oggi vivono, lavorano e pregano a Roma, le donne africane incontrate per parlare di salute. La guida rosa per la prevenzione è disponibile in diverse lingue, tra le quali lo spagnolo, il tagalog, il rumeno, il francese e l’inglese. Lo scopo è di facilitare la diffusione programma di screening dei tumori femminili al collo dell’utero e alla mammella seno.
L’argomento diventa ancora più delicato se lo si affronta nei pressi della Chiesa ortodossa etiope, al bivio con via Lanza dove ogni domenica mattina, dalle 6 alle 12, la comunità etiope di Roma si riunisce per la celebrazione del rito.
Appena fuori dalla metro B, fermata Cavour, e poco prima della scala ascensionale verso San Pietro in Vincoli, s’intravede, oltre due porte che danno accesso alla medesima stanza, una variopinta sala dove si celebra il rito di fronte a dei fedeli vestiti di lino, a sinistra le donne, con il corpo velato, a destra gli uomini, tutti inginocchiati ed uniti nella medesima preghiera.
Poco prima di entrare due giovani donne etiopi di 26 anni, in Italia da 4, sfogliano per la prima volta la guida rosa sorridendo ed arrivando subito alla parte che dicono essere la più utile, quella degli indirizzi dei consultori. “Certo però che l’obbligo della residenza è un grosso limite” osservano costernate “ In realtà credo che in Etiopia non vi sia una grande diffusione della malattia, non tanto quanto in Europa almeno. Abbiamo un’altra patologia dalla quale difenderci: l’AIDS”.
Infatti, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, l’Africa del Sud rimane la zona dove il virus dell’HIV è più diffuso, con una stima di 5,6 milioni di sieropositivi nel 2009. Invece, nell’Africa del Nord ed Orientale sono stati stimati circa 59.000 nuovi casi di persone che hanno contratto il virus. In aumento anche il numero di minori di 15 anni che hanno ereditato l’HIV da genitori sieropositivi, che è raddoppiato da 24.000 a 40.000 dal 2001 al 2010. Tra le principali cause della diffusione del virus vi sono i rapporti sessuali non protetti e lo scambio di siringhe non sterili tra tossicodipendenti.
Si riscontra anche in questo caso il medesimo problema derivante dalla mancanza d’informazione e quindi di prevenzione. Il riserbo può infatti diventare un limite, come rivelano timidamente le due giovani “In famiglia non si può parlare di sesso né tantomeno di prevenzione, ma a scuola la professoressa di biologia ci ha spiegato ogni cosa”.
Anche secondo Julie, 41 anni, “pur essendo io in Italia da 15 anni parlare di questi argomenti è sempre molto imbarazzante. Per noi etiopi la sessualità continua a rimanere una sorta di tabù”. Ribadisce inoltre la necessità di estendere anche alle non residenti la possibilità di recarsi alle ASL per le visite previste “molte giovani donne avrebbero bisogno di maggiori tutele sanitarie”. Conclude con un sorriso e si dirige verso le altre donne della comunità etiope che si affrettano verso il rito.
Cambiando luogo d’incontro si ritrovano anche diversi approcci all’argomento. A Via Giolitti, la cliente di un negozio che vende di tutto un po’, Beatrice, camerunense di 50 anni, sostiene che “la prevenzione è un diritto di tutte le donne. Sei anni fa ho ricevuto la mia prima lettera dell’ASL che mi convocava per un esame gratuito di prevenzione. Non riuscivo a spiegarmi cosa fosse ed ho chiesto aiuto alle mie vicine italiane. Rimasi colpita da quest’attenzione nei confronti della mia salute, e da allora ci vado ogni anno”.
In Camerun la prevenzione funziona diversamente: è interesse delle donne recarsi in ospedale, pagare ed eseguire le visite necessarie. Anche se c’è l’informazione e la prevenzione Beatrice denuncia come “la corruzione sia un fattore che limita fortemente il sistema sanitario nella sua capillarità. Gli aiuti che arrivano dai paesi europei destinati alle donne che ne hanno bisogno sono bloccati dal Governo che se ne appropria indebitamente”. La sua opinione è che non dovrebbe esserci alcun filtro governativo tra le ONG internazionali e le associazioni locali, altrimenti i soldi rischiano, come accade, di non arrivare a destinazione.
“Dopo l’esortazione della lettera mi resi conto dell’importanza di questi regolari controlli ed ho iniziato ad avere più cura di me. L’esistenza di questa guida multilingue è senz’altro utile ma il vincolo obbligatorio della residenza mi sembra un grande limite, di fatto si nega il diritto alla salute”. Questo giudizio è largamente condiviso anche da un’altra ragazza di origine nigeriana, parrucchiera di professione, che dice di avere “tra i 25 ed i 30 anni” lei sostiene che “senza documenti non si può fare niente. Se vai in ospedale devi dare tutte le informazioni che ti riguardano, incluso il luogo di residenza e le ragazze hanno paura a rivelare i propri dati”. Anche lei è a conoscenza del servizio offerto dalle ASL di Roma ed annualmente effettua le visite consigliate dall’opuscolo che comunque ritiene utile. D’altronde “chi vuole stare male? Nessuno, se si sente un fastidio o un dolore bisogna farsi controllare”.
Donne consapevoli di sé che lavorano e pregano e che conoscono, o desiderano farlo, gli strumenti utili a proteggere se stesse.
Romina Nizar e Piera Francesca Mastantuono
(3 ottobre 2012)