Palazzo Selam: la città invisibile dei rifugiati di Roma (II parte)

foto 5Prosegue da: Palazzo Selam: la città invisibile dei rifugiati di Roma (I parte)

L’elemento che accomuna ogni problematica raccontata da Donatella rimane la mancanza di un percorso di integrazione per queste persone, che spesso arrivano in Italia senza sapere una parola della nostra lingua e che di conseguenza non sanno come conoscere i più basilari dei loro diritti. La mancanza di mediatori culturali all’interno delle ASL per esempio comporta l’impossibilità per i rifugiati di ricorrere alle cure di base, così come crea problemi per l’ottenimento di un documento. Emblematici sono gli esempi di Dalì e Bahira (nomi inventati per proteggere l’identità dei rifugiati). Lui è un magistrato etiope di quarant’anni che nel 2005 ha chiesto asilo politico per aver condannato un militare che aveva represso violentemente delle manifestazioni studentesche. Viene accolto dal nostro paese e si dirige quasi immediatamente a palazzo Selam dove vive per alcuni anni. Nel 2012 cerca di ricongiungersi con la famiglia che viveva negli USA, ma una lettera di troppo tra il cognome scritto sul suo documento, ottenuto in italia, e quello della figlia bloccano la pratica. A causa dello stress Dalì è dimagrito di 10 kg e continua ad assumere ansiolitici.

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Alcuni volontari di Cittadini nel mondo durante la conferenza stampa
Bahira, eritrea di 45 anni invece, è stata una delle prime abitanti del palazzo ed è riuscita a prendere la residenza a Via Arrigo Cavaglieri, ma dopo che l’occupazione è stata dichiarata illegale(2007 ndr), ha dovuto fare riferimento alla ASL Roma A, molto distante da Selam. Poco dopo aver perso la residenza Bahira ha iniziato a star male ma la scarsa conoscenza della lingua non le permetteva di capire la gravità della situazione. Le avevano diagnosticato una tubercolosi sia polmonare che ossea. Impossibilitata a lavorare per i dolori e dovendo fare riferimento al Municipio I, oberato dalle richieste, Bahira si è rivolta a Cittadini nel mondo che è riuscita a riottenere la residenza in Via Cavaglieri così da permetterle di richiedere il rimborso per le spese mediche. Questi sono solo due esempi delle tante storie presenti dentro Selam che dimostrano come le problematiche affrontate da queste persone sarebbero facilmente risolvibili.Ad alimentare ancora di più le difficoltà, negli ultimi mesi il numero di abitanti del palazzo è aumentato a causa dei continui sbarchi in Sicilia, arrivando a toccare le 2000 presenze. Molti dei ragazzi in transito raggiungono l’edificio ancora “sporchi di sale” dopo neanche due giorni dal loro arrivo in Italia raccontando che il prezzo pagato in Libia prevedeva anche il raggiungimento della struttura di via Cavaglieri. Delle cinquanta persone che arrivano a settimana, solo venti vanno via, rendendo insostenibile la situazione organizzativa per i volontari.Per questo motivo Cittadini nel mondo invoca a gran voce un aiuto allo Stato Italiano attraverso sei richieste:

  • Instaurare una trattativa con l’Ensarco (proprietaria dell’immobile), per affidare definitivamente il palazzo alla comunità
  • Risolto il problema della residenza, i servizi pubblici del VII municipio prendano consapevolezza del numero di rifugiati presenti per creare politiche d’integrazione
  • ASL Roma B renda i servizi fruibili dai migranti offrendo mediazione linguistica
  • Rendere il Selam Palace meno isolato dalla città aumentando i trasporti pubblici nella zona e decentrando alcuni servizi come le scuole di italiano per stranieri
  • Realizzare un servizio di mensa vicino o all’interno del palazzo con la cogestione degli occupanti
  • Realizzare un piano di accoglienza che non si fermi alla prima accoglienza ma che preveda percorsi di integrazione affinché non debbano più esserci luoghi come Palazzo Selam

Adriano Di Blasi

(20 giugno 2014)

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