Vite in viaggio, ricordando il 3 ottobre

Il 3 ottobre 2013 è una data che l’Europa ha ormai imparato a ricordare: 368 migranti morti in mare, 155 sopravvissuti nel tentativo di raggiungere le coste di Lampedusa in uno di quelli che l’opinione pubblica da sempre ama definire”viaggi della speranza”. Da allora, quasi altre 11.500 persone sono morte nei viaggi verso l’Europa. Tante si fermano, moltissime transitano per le grandi città.

Roma accoglie e respinge, nelle sue infinite contraddizioni. Ma in questi anni di interviste e racconti, il nostro giornale ha incontrato tanti uomini e donne in viaggio: nei centri di accoglienza, nelle tendopoli improvvisate, nelle città “altre”, nelle quali hanno imparato a trovare uno spazio e a ricostruirsi una vita.

Alcuni li abbiamo incontrati nelle strutture allestite per quanti di loro sono riusciti a raggiungere l’Italia attraverso i corridoi umanitariAll’agriturismo Casal Damiano, Aprilia, 22 siriani da qualche mese hanno finalmente ricominciato a sperare. Abbiamo raccolto le loro voci e raccontato le loro storie, convinti che sia questa, ad oggi, la soluzione più sicura per garantire la sopravvivenza e l’avvio di una nuova vita per chi si trova costretto a lasciare il proprio paese.

In questa galleria riassumiamo le “nostre” altre storie di viaggio, per dimostrare che dietro alla migrazione dei popoli ci sono teste, cuori, ricordi, sogni e speranze. Spesso simili – se non identici – a quelli di ciascuno di noi.

La galleria fotografica

(Foto di Adamo Banelli, Giuseppe Marsoner, Edoardo Premoli, Marcello Valeri)tiburtina3

Si tengono le mani Miriam e Selam, si stringono e rivelano a poco a poco il senso profondo di quel “brutto” riferito al viaggio. “Al confine con la Libia c’è un campo di soldati sudanesi: gli uomini li lasciano andare, tutte le donne vengono trattenute e stuprate. E se vuoi proseguire, devi pagare anche 300 dollari”.

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”Sono tanti quelli che muoiono nelle carceri libiche: subisci minacce, violenze, torture. Ero diventato magro come questo dito”, e indica il suo mignolo. “Non esiste alternativa all’Europa, nel viaggio sono passato da un inferno all’altro”.

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Abel è partito un anno fa dall’Etiopia, prima di arrivare a Roma è stato in Eritrea e poi in Sudan, in Libia e infine a Lampedusa e a Salerno. “Lì ero in un posto terribile, nessuno ci diceva cosa fare, eravamo tutti ammassati e non avevamo nemmeno la possibilità di fare una telefonata”. Non ha fretta di concludere la conversazione, anzi la alimenta, ci chiede i nostri nomi, li pronuncia e sorride per quei suoni tanto diversi dai suoi. Ci chiede se abbiamo figli: “A Salerno delle donne come voi mi hanno detto che hanno i figli della mia età”. Poi chiede quanto tempo ancora potrà restare al centro Baobab.

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Themi ha 35 anni e in Etiopia era un militare, prima di partire è stato nel campo profughi Adi Arsh, il secondo più grande del paese. “Vogliamo andar via dall’Italia, ma quello che fate per noi è importante. Sappiamo che la situazione è più grande delle vostre forze e noi siamo tanti”. Intorno a lui si raggruppano degli altri ragazzi, “Grazie per il vostro lavoro”, dicono.

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Ha impiegato circa 8 anni per decidere di partire, e l’ha fatto perché voleva trovare la libertà, in paesi come l’Australia o l’America, e sensibilizzare la comunità mondiale su quanto stesse succedendo nel suo paese. Gli hanno però preso le impronte a Lampedusa e, secondo il regolamento di Dublino, è dovuto rimanere in Italia.“Ho girato diverse prigioni in Libia e sono stato venduto ai trafficanti”. Per uscire di prigione bisogna pagare grosse cifre e lui non avrebbe mai potuto permettersele. Fortunatamente è riuscito a scappare.

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Quando parlano della vita prima della partenza sintetizzano tutto in due parole: “Afghanistan-war”. E ricordano che non c’è quotidianità possibile dove c’è la guerra.

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“Sono qui da qualche giorno, una settimana fa ero in Sicilia, ma stasera prenderò un treno per Bolzano. Quando immaginavo l’Italia mi aspettavo qualcosa di meglio”.

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“Sono poliziotto, ho combattuto per due anni ma vedere tutti i giorni i corpi dei tuoi amici morti e doverli portare alle famiglie è troppo. Ho lottato già troppo per due anni senza risultati, è per questo che sono partito”. Che cosa chiede all’Europa? Mi ha risposto: “Voglio passare la frontiera e avere l’asilo, ma soprattutto se non volete che entriamo in Europa, fate in modo che io possa vivere nel mio paese”. – Dal diario di Veronica di #Overthefortress a Idomeni

“Vorrei girare il mondo in solitaria adesso che ne ho la possibilità. Viaggiare alla scoperta di altre culture mi affascina. Per sentirmi cittadino del mondo prima devo girarlo: questo mi permetterebbe anche di realizzare filmati, documentari di storie sul campo”.

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