Memorandum Italia-Libia. Cosa è cambiato in quattro anni?

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Foto di Irish Defence Forces

Il 2 febbraio del 2017 Paolo Gentiloni e Fayez al-Sarraj firmavano il Memorandum Italia-Libia. A quattro anni di distanza, cosa è cambiato? Cosa sta accadendo oggi in Libia e a cosa sono serviti i 785 milioni di euro spesi dall’Italia per bloccare i flussi migratori e finanziare le missioni navali? Nell’anniversario della firma del Memorandum ASGI, Emergency, Medici Senza Frontiere, Mediterranea, Oxfam e Sea-Watch con un appello hanno chiesto al Parlamento italiano la revoca degli accordi con le autorità libiche e il ripristino delle attività di Ricerca e Soccorso nel Mediterraneo centrale.

L’appello al governo italiano

ASGI da anni chiede la revoca del Memorandum fra l’Italia e la Libia” spiega Alberto Pasquero dell’ASGI, docente di diritto internazionale umanitario all’Università degli Studi di Milano. “Il Memorandum ha gettato le basi per la politica di esternalizzazione delle frontiere, con conseguente distorsione e privazione dell’accesso al diritto di asilo a cui abbiamo assistito negli ultimi quattro anni. Sulla base del Memorandum si è rafforzata la cooperazione italiana con il governo di Tripoli e in particolare con la Guardia costiera libica, che formalmente soccorre le persone in mare ma poi di fatto effettua dei respingimenti, riportando le persone soccorse in Libia. Questo è il motivo principale per cui ASGI così come le altre associazioni, è contraria a questo tipo di accordi che, tra l’altro, risultano essere informali, ovvero trattati internazionali conclusi in forma semplificata, cosa che non sarebbe costituzionalmente legittima. Il Parlamento italiano non si è mai pronunciato su questi accordi, non li ha mai voluti notificare. Questo è un ulteriore motivo di sottrazione al controllo democratico che ci preoccupa molto”.

La sedicente Guardia Costiera libica negli ultimi 4 anni ha intercettato e riportato forzatamente in Libia almeno 50 mila persone, di cui 12 mila solo nel 2020. Per Luca Masera, associato ASGI e docente di diritto penale all’Università degli Studi di Brescia “il Memorandum non tiene minimamente in considerazione la gravità delle condizioni dei campi profughi libici. Ci sono testimonianze plurime, anche a livello di sentenze di giudici italiani, sulle atrocità che avvengono nei campi libici. Un accordo che preveda il supporto italiano alle attività delle autorità libiche si pone radicalmente in contrasto con una serie di principii del Diritto Internazionale dei Diritti umani: in primo luogo il diritto al non respingimento. Il Memorandum Italia-Libia, in sostanza, esplicita una volontà italiana di operare i respingimenti dei migranti irregolari per mezzo della Guardia Costiera libica.”

L’arrivo dell’emergenza Covid-19

Il Memorandum con la Libia era stato prorogato, un anno fa, sulla base di un generico impegno del governo italiano a ridiscuterlo in relazione alla tutela dei diritti dei migranti, ma in realtà con l’emergenza Covid-19 questa idea è stata del tutto abbandonata – prosegue Masera –. L’accordo è oggi in vigore esattamente come lo era prima”. “Sicuramente la pandemia ha legittimato una serie di pratiche, in nome della tutela della sanità pubblica, che a nostro modo di vedere sono abbastanza discutibili”, aggiunge Pasquero. “Abbiamo assistito a fortissimi ritardi nell’accesso alle questure italiane e quindi nella possibilità di presentare domande di asilo. Un altro problema è rappresentato dalle navi quarantena, poiché la quarantena forzata a bordo di una nave rappresenta una grave compressione del diritto alle libertà personali”.

Finanziare i trafficanti

Dalla firma del Memorandum, l’Italia ha speso la cifra di 785 milioni di euro per bloccare i flussi migratori in Libia e finanziare le missioni navali. Una buona parte di quei soldi, più di 210 milioni di euro, sono stati spesi direttamente in Libia. Secondo Masera “investire una cifra così consistente per ridurre i flussi migratori in Libia significa condannare tutti i migranti, al momento rinchiusi nei campi libici, a una situazione intollerabile. È necessario ripensare la politica nei confronti della Libia, creando un piano di evacuazione dei centri di detenzione per migranti irregolari e ricollocando coloro che vi sono trattenuti. L’idea di investire i soldi nel miglioramento delle condizioni dei campi libici è, invece, una grandissima ipocrisia perché, visto il momento politico della Libia e la condizione generale, questo è semplicemente impensabile”.

La Libia – interviene Pasquero – è frammentata in molti centri di potere. Non esiste, infatti, un governo unitario in grado di gestire in modo univoco e centralizzato le risorse finanziare. Ad esempio in alcuni progetti che l’Italia finanzia i beneficiari sono le ‘comunità locali’, ovvero entità locali di governo a cui afferiscono i clan libici che controllano quel determinato territorio. Ogni volta che si destinano dei soldi all’uno o all’altro gruppo, o anche al governo centrale che in realtà li smista tra vari gruppi, si destabilizza la Libia, creando i presupposti perché questi gruppi armati si contendano l’utilizzo dei fondi”.

Il petrolio e l’industria della detenzione

I centri di detenzione per stranieri in Libia, sia quelli ufficiali sia quelli non ufficiali, sono gestiti da milizie armate che si contendono il potere con le armi e finanziano il conflitto libico con i proventi derivanti da vari business, come la tratta degli esseri umani e il loro sfruttamento” denuncia Pasquero, “in questo modo i migranti diventano, per così dire, una commodity da usare e da sfruttare a loro piacimento, da comprare e vendere per generare profitti. La Libia è ricca di petrolio e alcune delle raffinerie si trovano sulla zona costiera da cui avvengono le partenze dei migranti. Sembrerebbe che gli stessi governanti locali, che poi sono clan, gestiscano anche il business del petrolio. Ad esempio il centro di detenzione di Zawiya, gestito dalla milizia del famigerato Bija, è adiacente a una raffineria di petrolio”.

Dello stesso avviso Masera, “il traffico di esseri umani è in realtà profondamente connesso con altri traffici illeciti, perché gestito in buona parte dalle stesse associazioni criminali. Un dato che sicuramente fa da comune denominatore è proprio il ruolo della Guardia Costiera libica. Pur se non ci sono ancora procedimenti con prove evidenti a carico della Guardia costiera libica in quanto tale, ricordiamo che Bija, esponente della Guardia Costiera libica arrivato anche in Italia per una visita ufficiale, è stato poi indagato per crimini contro l’umanità da parte della Corte penale internazionale”.

Il governo di transizione Libico

In Libia è stato approvato il nuovo governo di transizione, che vede Mohammed al Menfi a capo del consiglio presidenziale e Abdulhamid Dbeibeh come primo ministro. Inoltre il consiglio di sicurezza Onu ha recentemente disposto l’invio di osservatori nel Paese per monitorare la tregua, siglata il 23 ottobre scorso, e verificare il ritiro dei circa 20mila militari stranieri attualmente presenti sul territorio. Sulla situazione in Libia Pasquero afferma che “sicuramente con l’appoggio e col favore della comunità internazionale e con l’intervento di attori importanti come la Turchia, il conflitto libico ha preso una piega diversa rispetto anche solo a un anno fa. Sembrerebbe che la tregua per ora tenga. Sicuramente ci sono stati cambiamenti politici importanti che lasciano sperare in una futura maggiore stabilità all’interno del Paese. “Purtroppo”  interviene Masera “quando l’ONU si pronuncia sulla Libia e sulla ricostruzione di un sistema statale la questione dei migranti non è ancora presa in considerazione e non riceve la sufficiente attenzione”.

L’abbandono di Mare Nostrum

Dal 2014, oltre 20mila persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo, 6.500 dal 2017 a oggi. Per Masera “il passaggio centrale è stato l’abbandono di Mare Nostrum, una iniziativa che davvero aveva come obiettivo quello di salvare le vite dei migranti e aveva predisposto anche un sistema navale in grado di adempiere a questo compito. Tutte le iniziative successive, da Triton a Irini, hanno avuto una impostazione volta al controllo dei confini e al contrasto dell’immigrazione irregolare. L’obbiettivo del salvare vite in mare non è stato più prioritario. Per questo è indispensabile l’intervento delle ONG: è la migliore prova che le missioni navali messe in atto dalle autorità non sono in grado di risolvere il problema dei migranti. L’Italia e gli altri Stati d’Europa sono venuti meno al loro compito di salvare vite in mare: le migliaia di morti nel Mediterraneo centrale erano evitabili, come Mare Nostrum ci aveva insegnato”.

Vincenzo Lombardo
(10 febbraio 2021)

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