Rapporto “Margini” su migranti e insediamenti informali a Roma

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“Margini” è il nuovo rapporto sulle condizioni socio-sanitarie di migranti e rifugiati negli insediamenti informali della città di Roma. Il report è stato realizzato da MEDU con il supporto di UNHCR nell’ambito del progetto “Mobile clinic and Psyché center in Rome”. Alla presentazione del rapporto “Margini” c’erano Cristina Tamburini, direttore dell’Ufficio tutela della salute della donna, dei soggetti vulnerabili e contrasto alle diseguaglianze del Ministero della Salute, Laura Cantarini di UNHCR e Barbara Funari, assessore alle politiche sociali e alla salute di Roma capitale.

“Il report Margini nasce in collaborazione con l’agenzia ONU per i rifugiati, una collaborazione avviata nel 2017 a supporto di due attività fondamentali di MEDU, ovvero la clinica mobile per l’assistenza socio-sanitaria alle persone senza dimora e il centro Psiché ‘Francesca Uneddu’, nato per fornire supporto alle persone sopravvissute a tortura e a traumi estremi – spiega Mariarita Peca, coordinatrice progetti nazionali MEDU –. Il rapporto Margini parla degli insediamenti precari, della popolazione che ci vive e delle cause della loro esclusione, un’esclusione ormai cronica dall’accesso ai servizi e ai diritti fondamentali.

Gli insediamenti informali a Roma

A Roma – prosegue – ci sono circa 100 insediamenti precari, che vanno da insediamenti di grandissime dimensioni, come il ben noto Selam Palace ad Anagnina o l’edificio occupato in via Collatina, a insediamenti più piccoli e dispersi sul territorio. L’edificio di via Collatina è un edificio dove vivono circa 450 persone, nella quasi totalità dei casi provenienti dall’Eritrea e in minor percentuale dall’Etiopia. Essi vivono in Italia da molti anni, pertanto hanno un’età che va dai 30 ai 50 anni e nella quasi totalità dei casi sono titolari di protezione internazionale. In un altro edificio noto come SpinTime, che si trova in una posizione molto centrale in Via di Santa Croce in Gerusalemme, vivono circa 800 persone con una popolazione molto variegata sia per provenienza che per fasce d’età. In questo edificio la percentuale di richiedenti asilo e rifugiati è invece piuttosto bassa. Vi sono poi due insediamenti estremamente precari nell’area Tiburtina-Verano e alla stazione Termini. Che si tratti di insediamenti piccoli o grandi, nel linguaggio istituzionale si parla di popolazioni hard-to-reach, cioè difficili da raggiungere. Ma più che di popolazioni hard-to-reach bisognerebbe parlare di popolazioni ai margini le quali, più che essere difficili da raggiungere, sono di fatto le ultime a essere raggiunte dalle priorità della politica e dalle istituzioni sociali e sanitarie”.

Vite ai margini

“È importante sottolineare – afferma Cristina Tamburini, direttore dell’ufficio tutela della salute della donna, dei soggetti vulnerabili e contrasto alle diseguaglianze del ministero della salute – che anche quando un soggetto non ha le caratteristiche che lo possono qualificare come rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra, pur tuttavia ci possono essere delle situazioni di vulnerabilità che necessitato di una protezione internazionale a garanzia del godimento dei diritti umani. Inoltre molte persone, una volta accettate dal nostro sistema di accoglienza, poi si ritrovano in condizione di non poter avere un lavoro continuativo, quindi vengono spinte ai margini della nostra collettività. Altri importanti problemi sono la difficoltà di accesso alla residenza anagrafica e la presenza di tantissimi minori stranieri non accompagnati in transito in questi insediamenti, che in maniera eufemistica definiamo come informali. Le persone all’interno di questi insediamenti spesso sono affette da disagio psichico legato ai traumi affrontati sia durante il viaggio, sia nei periodi di detenzione, prima di poter attraversare il mare e raggiungere così le nostre coste”.

Un problema di percezione

“Il titolare di protezione internazionale, che sia lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, viene equiparato a tutti gli effetti e su molti piani al cittadino italiano. Perché allora queste persone continuano a rimanere ai margini?” Si domanda Laura Cantarini, senior Protection associate dell’alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati UNHCR. “Per un divario, una sorta di discrepanza, tra quella che è la titolarità del diritto e l’esercizio effettivo di quel diritto. Esiste sicuramente un problema di percezione. Come il rapporto “Margini” giustamente sottolinea, le stesse persone che vivono negli insediamenti informali ritengono che la salute sia un fattore secondario. Ma questa, in realtà, è una conditio sine qua non perché un soggetto possa essere attivo e perché specularmente il sistema possa ragionevolmente pretendere che l’individuo si attivi per compiti come l’apprendimento della lingua, la ricerca di un’occupazione e per la ricerca di una soluzione abitativa. Le istituzioni devono creare una politica sull’inclusione che vada al di là della logica securitaria, come quella degli sgomberi, ma attraverso politiche di lungo termine”.

Approccio emergenziale e inclusione sociale

“Il rapporto ‘Margini’ fotografa le condizioni di salute della popolazione, salute intesa sempre come benessere psicofisico e sociale – riprende Peca –. Nei quattro insediamenti informali, la Stazione Termini, l’area Tiburtina Verano e due edifici occupati siti rispettivamente in Via Collatina e in Via di Santa Croce in Gerusalemme, con una popolazione complessiva di oltre mille e cinquecento persone abbiamo assistito in 11 mesi 543 persone e fatto più di 900 visite mediche. La popolazione era costituita per il 34% da richiedenti asilo e rifugiati, la metà dei quali sono stati accolti in grandi centri di accoglienza, spesso isolati rispetto al tessuto urbano e con un approccio emergenziale, più che rivolto all’inclusione sociale. Tra la popolazione assistita l’11% era costituita da minori non accompagnati, principalmente nell’area Tiburtina Verano, caratterizzata a partire dal 2014 dal passaggio di numerose persone in transito che noi annoveriamo tra gli irregolari, perché di fatto non presentano richieste d’asilo in Italia ma che sono intenzionate a chiedere asilo ad altri Paesi europei”.

Una condizione divenuta cronica

“Un altro aspetto significativo da rilevare è che il 75% della popolazione generale incontrata era costituita da persone che erano presenti in modo stabile in Italia, quindi persone che intendono rimanere sul nostro territorio e che vi hanno vissuto anche per un periodo piuttosto prolungato. Quindi non è più una condizione iniziale di marginalità, ma una condizione ormai cronica, per cui anche gli interventi vanno commisurati in tal senso. È notevole il caso dello stabile in via Collatina, dove ci sono 30 nuclei familiari tutti con figli minori in tutti i casi nati in Italia. Un altro dato rilevante è l’elevata percentuale di persone vulnerabili. Se infatti teniamo conto solo dei richiedenti asilo e rifugiati, tra di essi oltre la metà del 55% era costituito da persone vulnerabili, in particolar modo da persone sopravvissute a eventi traumatici come tortura, trattamenti disumani e degradanti. Per quanto riguarda la stazione Termini troviamo una popolazione assolutamente eterogenea, con problematiche molto varie come dipendenze, disagio psichico, persone che sono fuori dal sistema di accoglienza e richiedenti asilo che sono in fase di ricorso. Si tratta di un contesto di estrema precarietà. Anche sul tema della salute la popolazione da noi incontrata nel 70% dei casi era iscritta al servizio sanitario nazionale ma solo il 30% delle persone ha dichiarato di usufruire del medico di medicina generale. Quindi di fatto si tratta di persone che utilizzano solo il pronto soccorso in caso di emergenza e che comunque non sono consapevoli della possibilità di una presa in carico continuativa”.

La normativa che ha lasciato le persone per strada

“A Roma vi è una frammentarietà degli interventi e dei servizi. Bisogna applicare una reale presa in carico socio-sanitaria, quindi ricucire la frammentarietà degli interventi di collaborazione tra istituzioni, terzo settore, privato sociale, associazioni di volontariato”. A parlare Barbara Funari, assessore alle politiche sociali e alla salute di Roma capitale. “C’è poi un problema rispetto alle normative da applicare, a cui a volte si risponde in maniera semplificata, ovvero se Roma sia una città di transito o di destinazione. È evidente che nell’insediamento intorno a Tiburtina si incontrano tante persone che transitano, così come è evidente che ci sono pochissimi posti a disposizione per ospitare i minori non accompagnati. Le persone che tante volte si incontrano per strada a Roma, moltissime alla stazione Termini, sono persone che dal 2018 in poi non hanno più trovato accoglienza e che sono state fatte scivolare nella povertà più estrema. Sappiamo bene che chi arriva nel nostro Paese troppo spesso ha già un vissuto pregresso di dolore, di sofferenze e torture, e questo diventa ancora più grave dopo anni e anni vissuti per la strada. La normativa successiva al 2018 ha portato tante persone per la strada, ma il nuovo decreto legge del 2020 ci rimette nelle condizioni di lavorare nel circuito dell’accoglienza. Il mio impegno sarà quindi quello di riconnettere il circuito dell’accoglienza perché ci sono tanti bisogni, ma sulla vulnerabilità bisogna fare presto. Molto spesso chi oggi muore per la strada ha una situazione di salute molto precaria e molto grave e si arriva sempre troppo tardi con gli aiuti”.

Il problema della residenza anagrafica a Roma

“Anche la residenza anagrafica a Roma è diventata un percorso burocratico purtroppo troppo lungo, che allontana piuttosto che facilitare l’accesso alla residenza. Io più che fittizia preferisco chiamarla residenza virtuale, perché il primo aggettivo richiama sempre qualcosa di finto, mentre il virtuale qualcosa che non ci permette di renderlo reale ma in realtà esiste. Qualche mese fa parlavo con una con un’operatrice a Tiburtina, lei mi diceva che effettivamente sono le istituzioni che alle volte lasciano una persona per strada un anno intero, perché per riuscire ad accedere e per riuscire ad entrare nel circuito dell’accoglienza si aspetta anche un anno e nel frattempo si continua a vivere per strada. Questo non è più possibile e deve cambiare subito”, conclude Funari.

Il report “Margini”

Vincenzo Lombardo
(19 Gennaio 2022)

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