Giovani migranti: il viaggio di Amin non è concluso

Nei pressi della stazione Tiburtina è facile imbattersi in giovani migranti che si ritrovano lì aspettando e cercando qualcosa che possa offrire loro un’esistenza migliore. In questi giorni c’è spesso un giovane che parla e socializza con tutti, chiede a chi incontra come stai? Posso aiutarti? E ti sorride. Amin ha 20 anni, è nato in Ciad e oggi indossa un cappotto pesante e un pantalone verde troppo corto per coprire le sue lunghissime e magre gambe. È arrivato in Italia quando aveva 16 anni, ed è uno dei  6.612 minori stranieri non accompagnati presenti in Italia(marzo 2021).

Dalla Sicilia a Ventimiglia: la migrazione

Amin racconta di essere sopravvissuto per quasi tre giorni in mare su un gommone con il motore in panne, ma di essere stato recuperato dalla Guardia costiera libica e ricondotto nel centro di detenzione in cui aveva passato i precedenti 22 mesi quando, iniziata la sua migrazione è stato bloccato la prima volta.“Ho una ferita alla gamba sinistra: una pallottola che mi ha sparato un poliziotto libico quando sono scappato dal centro di detenzione e per me ritornare in quel posto è stato un incubo peggiore della possibilità di morire in mare”.
È riuscito a ripartire.  Nel 2018 è arrivato in Sicilia, ma non si è fermato. È scappato per provare a raggiungere Ventimiglia, diventando uno dei moltissimi minori “scomparsi”, ragazzini che diventano fantasmi consapevolmente, perché hanno una meta altrove, come nel caso di Amin che voleva raggiungere Marsiglia in Francia.
A Ventimiglia, assieme a un suo compagno di viaggio del Sudan, anch’esso minorenne, ha provato ad attraversare la frontiera per ben quattro volte ma è stato sempre respinto, non hanno creduto che fosse minorenne malgrado la data riportata sul certificato anagrafico. “Ho detto e ribadito il mio anno di nascita, 2002, quella con cui sono stato registrato allo sbarco, ma tutte le volte che mi sono recato alla frontiera non mi hanno creduto e mi hanno riportato in Italia scrivendo sul rifiuto d’entrata una data che mi faceva invece risultare maggiorenne. Samek, il ragazzo che viaggiava con me, ha insistito e riprovato ancora e al settimo tentativo è riuscito a passare la frontiera, lui ora è in Germania, ci sentiamo ogni tanto, è stato più fortunato. Io non ce la facevo più, ho passato interminabili notti, in un container con altre decine di migranti di ogni età al posto di polizia di frontiera francese di Mentone, ogni volta erano 12 ore di puro terrore. A quel punto ho pensato che forse sarei dovuto rimanere in Italia, che il mio destino poteva essere quello, doveva essere quello, ma è difficile, non mi sento realmente a casa. Anche se la lingua italiana mi piace, la sto imparando, vorrei studiare e farmi una famiglia qui, la mia in Ciad non c’è più, sono orfano”. Mentre finisce di raccontare la sua storia Amin mostra il suo certificato di nascita per dimostrare che dice la verità: la data riportata è inequivocabilmente il 2002. Amin e Samek non sono i soli, come loro, altri minori denunciano la stessa prassi: essere respinti perché ritenuti maggiorenni; molte ONG che operano alle frontiere a Ventimiglia e a Oulx, in Alta Val di Susa, si adoperano affinché questo non accada.

Da Ventimiglia a Roma: un viaggio non concluso

Ventimiglia è  il luogo che segna il passaggio da una parte all’altra, tuttavia, il senso di una frontiera dovrebbe essere l’incontro e non la chiusura, ma questo viene spesso dimenticato. Qui Amin è stato accolto dalla comunità per minori stranieri non accompagnati della Caritas dove è restato fino ai 19 anni. Racconta del tempo trascorso lì, della scuola, degli amici e di aver conosciuto ragazzi che provenivano soprattutto dalle rotte balcaniche, con migliaia di chilometri spesso consumati a piedi, per arrivare in Friuli-Venezia Giulia e poi ai confini francesi con le scarpe rotte e con chiari segni di privazioni. Amin racconta di Jalel, un ragazzino somalo “era autunno, una giornata con freddo e pioggia, quando è arrivato al centro questo ragazzo che avrà avuto 14 o 15 anni al massimo. Logoro, scalzo con i piedi sanguinanti, respinto più volte al confine croato-bosniaco e diretto in Francia dallo zio, l’unico membro della sua famiglia ancora in vita”.
Per Amin Ventimiglia è stato un luogo importante: lì ha conosciuto la solidarietà ma anche lo sconforto, la paura e la rassegnazione, per questo ha deciso di spostarsi e di venire a Roma dove risiede da due anni. Poliglotta, come la maggior parte dei MSNA, a Roma collabora come interprete per una comunità locale e lavora in un ristorante, per mettere da parte i soldi per studiare. La sua permanenza romana tuttavia è temporanea, non sente Roma come una città accogliente, respira troppo razzismo attorno a lui ed è per questo che a fine mese si trasferirà a Bologna sperando di trovare un luogo che lo faccia sentire felice o quantomeno accolto. Sembra un ragazzo come tanti, pieno di sogni, il suo obiettivo sarebbe vivere a Parigi e diventare un avvocato.
Avere a 16 alle spalle già anni di viaggi e sofferenze, di rifiuti e lotta per sopravvivere, vuol dire avere maturato un’esperienza difficilmente comprensibile dall’esterno. I ragazzi come Amin sono coraggiosi, supportati dai sogni che solo da giovani hanno questo potere, non è disilluso verso un mondo che, per il momento, gli ha fatto solo incassare un colpo dietro l’altro.

Elisa Galli
(2 febbraio 2022)

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