Esternalizzazione delle frontiere e diritti delle donne

L’esternalizzazione delle frontiere, la strategia adottata dall’UE per delegare ai Paesi terzi il blocco delle partenze dei migranti prima che raggiungano il territorio europeo, mina alle fondamenta il diritto d’asilo. Agendo in maniera indiscriminata su tutta la compagine di migranti – senza distinzione di provenienza geografica, status giuridico e situazione del Paese di origine – limita ancor più drasticamente i diritti di alcune categorie particolarmente fragili di migranti, come le donne vittime di tratta.
Ne abbiamo parlato con Maria Adelaide Massimi, coordinatrice per ASGI del progetto Sciabaca&Oruka – una rete di associazioni di tutela legale dei migranti attive in Nord-Africa e Africa Sub-sahariane -, intervistata a margine della presentazione del volume Le migrazioni femminili in Italia. Percorsi di affermazione oltre le vulnerabilità a cura di IDOS, tenutasi il 28 febbraio presso l’Auditorium Via Rieti a Roma.

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Le donne vittime di tratta sono tra le categorie di migranti più fragili e più esposte agli effetti dell’esternalizzazione delle frontiere, promossa da Italia e UE. Foto Unsplash

La tratta delle donne nigeriane lungo Niger e Libia

Per avere un esempio dell’impatto dell’esternalizzazione delle frontiere sulle categorie più fragili di migranti non bisogna andare molto lontano. La rotta del mediterraneo centrale è interessata dal fenomeno della tratta di donne provenienti dalla Nigeria, considerata dagli osservatori internazionali come uno dei Paesi maggiormente coinvolti. Secondo il rapporto OIM 2017 ben l’80% delle donne arrivate in Italia è una potenziale vittima di tratta per sfruttamento sessuale. “Per controllare la rotta del mediterraneo centrale l’Italia ha stipulato il tristemente noto Memorandum con la Libia del 2017 e accordi di polizia con il Niger, importante Paese di transito per chi parte, per esempio, dalla Nigeria. Si tratta di una strategia vincente, visto che dal 2017 al 2021 il numero di donne migranti in Libia è rimasto stabile, mentre si è dimezzato quello delle donne che riescono a partire”.

Se riuscissero a raggiungere le coste italiane, le donne vittime di tratta potrebbero facilmente ottenere lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria o la protezione speciale, perché soggette lungo tutto il percorso a forme di sfruttamento sessuale e/o lavorativo. In Niger, per esempio, dal 2015 è attiva una legge antitraffico e antitratta che di fatto limita l’accesso oltre la zona di Agadez, nel nord del Paese, anche ai migranti provenienti dai Paesi della CEDEAO o ECOWAS, la zona di libero scambio (e circolazione) dell’Africa Occidentale di cui lo stesso Niger fa parte. I migranti e le migranti bloccati nel mezzo del Paese finiscono così per essere sottoposti a condizioni di sfruttamento ancora maggiori, sia da parte delle autorità locali che dai trafficanti”.

Il re-trafficking e le violazioni del diritto internazionale

“L’unica via d’uscita da questa spirale di sfruttamento, offerta dalle stesse organizzazioni umanitarie, risiede nei rimpatri volontari assistiti promossi dall’OIM, del tutto inefficaci per evitare il fenomeno del re-trafficking, cioè il nuovo assoggettamento a tratta delle vittime tornate nel Paese di origine. Si tratta di una questione decisamente importante, che tuttavia sfugge alle stime dell’OIM, che non può e non vuole fornire dati”.

Eppure a livello internazionale esistono importanti strumenti per la tutela delle vittime di tratta: il cosiddetto “Protocollo di Palermo” del 2000 e la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla tratta contro gli esseri umani del 2008.
Alla responsabilità politica di questa progressiva erosione del diritto di asilo, si affianca anche una responsabilità giuridica in capo all’Italia. Nel 2021 due donne nigeriane, assistite da ASGI e NULAI, hanno presentato un esposto contro Italia e Libia al Comitato ONU per violazione degli artt. 2 e 6 della Convenzione Onu per i diritti delle donne (CEDAW) relativi alla non-discriminazione e alla protezione dallo sfruttamento della prostituzione, perché intercettate in Libia nel tentativo di raggiungere l’Italia e rimpatriate in Nigeria dall’OIM.

La cooperazione internazionale per il blocco dei migranti

La cooperazione internazionale è una delle modalità con cui si realizza la strategia di esternalizzazione delle frontiere. Colpisce che sia proprio in importanti Paesi di transito e di partenza come Niger e Libia che si continuino a verificare importanti violazioni dei diritti umani e del diritto alla mobilità dei migranti, nonostante l’imponente presenza di ONG, associazioni di cooperazione internazionale e progetti allo sviluppo finanziati dall’Italia e dall’UE.
ActionAid ha messo a disposizione un utile strumento, The Big Wall, per monitorare la presenza di finanziamenti e progetti per la cooperazione allo sviluppo che, tuttavia, perseguono il fine non troppo velato di bloccare le partenze.

“Accanto a progetti più dichiaratamente funzionali ad impedire le partenze dei migranti, Italia e UE finanziano progetti più ad ampio respiro che tuttavia perseguono lo stesso fine, ma in maniera più velata, seguendo il noto assioma per cui ‘più sviluppo meno partenze’, da anni smentito dalle ricerche sociali”.

I principali beneficiari dei finanziamenti dall’Italia per il sostegno delle politiche di esternalizzazione delle frontiere. Fonte: ActionAid Italia – The Big Wall

Rimpatri volontari o espulsioni mascherate?

Anche la misura dei rimpatri volontari assistiti promossa dall’OIM rischia di alimentare forme di espulsione mascherate. “L’OIM ha il compito di valutare l’effettiva volontarietà del rimpatrio, le condizioni di fragilità del soggetto e le caratteristiche del Paese di origine in collaborazione con l’UNHCR. Tuttavia, in questi ultimi anni sono stati autorizzati rimpatri anche in paesi come Somalia ed Eritrea, che destano non poche perplessità. Nel caso specifico delle donne nigeriane, non sono previste dall’OIM forme di riconoscimento della particolare condizione di vittime di tratta. Una volta rimpatriate nel Paese, l’unica forma di assistenza garantita a queste donne è un generico sussidio economico per il reinserimento sociale. Da qui si capisce perché il rischio del re-trafficking sia particolarmente elevato.”

Le intese tecniche di polizia con i Paesi terzi

A livello politico il Memorandum d’intesa Italia-Libia del 2017 e gli accordi UE-Turchia del 2016 sono gli esempi più lampanti della strategia di esternalizzazione delle frontiere. Accanto a questi accordi pubblici esistono tuttavia accordi segreti di polizia che mirano allo stesso scopo, ma vengono secretati per motivi di sicurezza. “L’Italia negli ultimi anni ha stipulato molte ‘intese tecniche di polizia’ in Paesi come Tunisia e Niger per definire modalità di cooperazione nei respingimenti dei migranti. Si tratta di accordi il cui accesso viene bloccato per supposti motivi di sicurezza, ma che di fatto funzionano come veri e propri trattati, perché impegnano economicamente l’Italia che fornisce risorse per espletare queste operazioni, ma soprattutto perché si caricano di una valenza politica importante.”

Dal diritto d’asilo alla logica del dono

Ogni strumento è valido per raggiungere lo scopo dichiarato di bloccare le partenze, che nulla ha a che vedere con la tutela dei diritti umani dei migranti e del diritto fondamentale alla mobilità umana. “Oggi assistiamo sempre di più, sia in ambito nazionale che europeo, a meccanismi di selezione dei migranti in base a più o meno evidenti gradi di fragilità.Tutto questo è diretta conseguenza della logica umanitaria, o del dono, nel governo delle migrazioni, che sostituisce al diritto una logica concessoria.”

A questo filone appartiene la retorica dei corridoi umanitari, che vengono sbandierati come la soluzione salvifica alla questione migratoria, facendo finta di ignorare che si tratta di azioni messe in campo da associazioni del privato sociale, che per forza di cose interessano un ristretto numero di beneficiari selezionati in base al grado di fragilità. “Lo stesso principio è alla base del Meccanismo di transito di emergenza (ETM) applicato dall’UNHCR in Libia: voli di evacuazione per migranti e richiedenti asilo bloccati in un territorio in cui il migrante, senza distinzione di status, è considerato come un mero oggetto di business e niente più. Anche in questo caso si applica una selezione dei beneficiari sulla base di criteri tutt’altro che neutri”.

La stessa divisione tra migranti forzati e migranti economici non ha ragion d’essere visto che le cause delle migrazioni sono sempre molteplici. “La valutazione sempre più sommaria delle cause delle migrazioni viene ad intaccare un pilastro fondamentale del diritto d’asilo: la valutazione individuale alla base della procedura d’analisi delle domande di protezione internazionale. Al principio per cui ogni percorso migratorio va analizzato nella sua singolarità sostituiamo quello del blocco indiscriminato delle partenze, al principio dell’accoglienza quello del rifiuto”.

Silvia Proietti
(7 marzo 2023)

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