Ogni anno il 17 febbraio la Chiesa Valdese celebra il riconoscimento dei diritti civili ai cittadini di fede valdese avvenuto in questa data nel 1848. Anche quest’anno questo storico evento verrà ricordato con iniziative in tutta Italia, una ricorrenza laica dedicata alla libertà religiosa di tutte le fedi. “Le minacce alla libertà religiosa sono continue, talvolta mimetizzate, in altri casi sfacciatamente visibili” afferma Antonio Adamo, pastore della Chiesa Valdese di piazza Cavour a Roma. Il riferimento è alla legge recentemente approvata dalla regione Lombardia che vieta la costruzione di moschee su suolo pubblico: “In Italia c’è una tradizione negativa risalente al fascismo per cui la questione religiosa viene vista da sempre come un problema di ordine pubblico. Fino alla stipula delle intese nel 1984 noi ministri di culto dovevamo essere iscritti ad un albo tenuto del prefetto. Per le fedi che non hanno un’intesa vale ancora la legge sui culti ammessi del 1930”. L’importanza di una nuova legge capace di garantire effettivamente i principi costituzionali in materia di libertà religiosa sarà al centro del convegno che si svolgerà il 16 e 17 febbraio al Senato.
La libertà religiosa non tutela solo i fedeli ma anche lo stato: “La mancanza di libertà genera malcontento e apre la porta a pericoli di inquinamento”. L’apertura di luoghi di culto dovrebbe essere quindi regolamentata tenendo conto delle esigenze dei cittadini: “Il pluralismo religioso è segno anche di pluralismo di opinioni, quindi favorisce la convivenza, la caduta di pregiudizi. Ogni forma di chiusura nei confronti della libertà religiosa è una sconfitta in primo luogo per la democrazia e per la pace nella vita quotidiana”. Il problema, in Italia come in Europa, è che si tende ad aver paura della libertà: “Temiamo che la libertà degli altri diminuisca la nostra, mentre in realtà possiamo rafforzare la nostra identità solo attraverso il confronto con altri, che non sono necessariamente nemici, ma persone che vivono l’esperienza religiosa in modo diverso”.
L’associazione Tavolo interreligioso di Roma nasce appunto per portare avanti quel lavoro di “costruzione di ponti e abbattimento di barriere” iniziato dalla consulta interreligiosa chiusa dall’amministrazione Alemanno. Composta dalle maggiori realtà religiose della capitale ha l’obiettivo di promuovere il pluralismo culturale e religioso affrontando in collaborazione con le istituzioni le sfide poste da una società sempre più multietnica. Tra le esperienze positive si può citare la cura pastorale interreligiosa negli ospedali, attraverso un vademecum che spiega agli operatori sanitari le esigenze legate a ciascuna fede e l’indicazione di referenti cui rivolgersi in casi di emergenza. “Il protocollo che abbiamo firmato con la ASL Roma E, della quale fa parte l’ospedale Santo Spirito, è stato riconosciuto come buona pratica dal Senato e ha ottenuto l’interesse della regione Lazio, che ha sensibilizzato altre strutture affinché accogliessero procedure rispettose dell’espressione della libertà religiosa”. Sempre al Santo Spirito è stata recentemente inaugurata una stanza del silenzio dedicata alla meditazione e alla preghiera. “C’è un’atmosfera di collaborazione e attenzione, superfluo dire quanto ciò sia importante nella situazione attuale, in cui le paure nei confronti dell’ISIS si riflettono talvolta in maniera errata su tutta l’area islamica confondendo gli estremismi con la realtà dei fedeli musulmani”.
L’attenzione al dialogo con l’altro, visto come ricchezza anziché come minaccia, vede d’altronde la Chiesa Valdese impegnata da anni sul versante dell’accoglienza ai migranti, sia attraverso attività di assistenza, sia mediante il progetto Essere chiesa insieme, un programma pastorale pensato appunto per i fedeli valdesi provenienti da altre culture. “Cerchiamo di non lasciarci sfuggire situazioni a rischio ed essere presenti ovunque sia possibile. Abbiamo attivato ad esempio dei presidi nei centri di maggiore afflusso di migranti, come Palermo, e stiamo cercando di rafforzare l’impegno sul fronte dell’insegnamento della lingua italiana ai cittadini stranieri”. Al di là della questione etnico-linguistica, pur fondamentale, il vero obiettivo è sapere guardare avanti: “Inventare forme di convivenza, collaborazione, di riforma del modo di intendere la liturgia accogliendo le differenze come un’opportunità. Garantire un’integrazione che non cancelli le identità, perché la comunione non è mettere insieme per forza delle cose, ma è sapere che nella diversità abbiamo un cuore e una fede comune.
Sandra Fratticci (16 febbraio 2015)
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