Municipio V, la migrazione della comunità romena

Romeni a Roma, i dati sulla migrazione

La migrazione romena a Roma inizia in maniera consistente negli anni Novanta, quando, con la caduta della dittatura di Nicolae Ceauşescu, dalla Romania partono oltre 2 milioni e mezzo di abitanti, pari al 10% della popolazione. L’Italia diventa la prima destinazione per i romeni che sfuggono alla crisi politica e economica.

La comunità romena è la prima, in soli trent’anni

La comunità romena è la più numerosa comunità di stranieri a Roma: conta infatti 82.600 abitanti, pari al 24% della popolazione straniera della Capitale. Il numero sale a 99.343 se si include l’area di Roma Metropolitana.
Questa comunità è inoltre la più consistente del Municipio VI, che è a sua volta l’area urbana della Capitale più popolata da stranieri. Nel VI Municipio infatti la comunità romena conta 21.027 residenti, pari al 46,4% degli stranieri del Municipio. Nel V Municipio invece i dati riportati nell’ultimo Osservatorio sulle migrazioni stimano una presenza dei romeni attestata a 7.444 abitanti: qui i romeni sono la seconda comunità più numerosa, dopo quella del Bangladesh, che sfiora i 10mila.

Migrazione femminile e orfani bianchi

“Quella romena è una migrazione marcatamente al femminile”, spiega Miruna Cajvaneanu, giornalista e ricercatrice laureata in Scienze Politiche e legata al tema delle migrazioni, che sta portando a termine il suo contributo per un volume statistico della migrazione romena in Italia, dopo dieci anni di assenza di ricerche sul tema.

“Le donne si occupano di assistenza alle famiglie e agli anziani, di lavori domestici, di pulizie. Mentre gli uomini lavorano principalmente nell’edilizia”. I dati confermano che nella comunità romena ci sono 74 uomini ogni 100 donne, una proporzione di presenza femminile molto più marcata rispetto alla media complessiva degli stranieri che vede la presenza di 93 uomini ogni 100 donne. Sono le donne quindi a partire, ad aprire la strada, spesso a costo di dolorosi distacchi dai figli, anche minori.
Lo stesso ci viene raccontato da Roxana Ene. Quando era in Romania, Roxana – che è in Italia da diciotto anni, ossia da quando aveva dieci anni –  ha vissuto con gli zii e dice di aver sofferto molto quella situazione, in quanto le mancava molto la sua famiglia. “Quello che più contava per me era stare con i miei genitori. Vivere con i miei zii spesso non è stato facile”. Vi sono purtroppo situazioni ancora peggiori: “Tra gli adolescenti che, rimasti nel loro Paese senza la madre e il padre, vi è un alto tasso di suicidi”. Si tratta dei cosiddetti “orfani bianchi”, figli di tante di quelle donne straniere che vengono in Italia a fare le colf o le assistenti familiari.
C’è invece chi lascia il proprio paese in età adulta e soffre di meno il distacco: “conosco alcuni miei connazionali che non hanno patito quanto me il distacco con la propria famiglia”.

La storia di Miruna

Miruna ha 42 anni ed è arrivata in Italia nel 1999 con una borsa di studio Erasmus, il dizionario di italiano che la segue ovunque, anche sui mezzi pubblici. Parte per studio, ma resta per amore: “comprando dei fiori, ho conosciuto mio marito, egiziano, che lavorava nel chiosco”. Dopo un periodo vissuto a Monteverde, oggi Miruna e la sua famiglia sono radicati nel quartiere Centocelle/Alessandrino, dove hanno comprato una casa. Hanno due figlie, una all’Università e la più piccola al Liceo Kant, da una settimana. “Reputo le scuole del V Municipio tra le migliori a Roma. C’è tanta scelta e c’è qualità. Sin dall’infanzia le mie figlie hanno potuto frequentare una scuola “di quartiere”, dove tutti noi genitori ci conoscevamo. Alle medie però abbiamo assistito a fenomeni di bullismo, alcuni dei quali hanno coinvolto anche una delle mie figlie. Per fortuna, siamo stati attenti, intervenendo in tempo. Non credo però che il bullismo subito da mia figlia fosse esclusivamente di matrice razzista. Atti di bullismo coinvolsero in quel periodo anche altri bambini italiani”, ricorda con amarezza Miruna.

Il flusso di questo racconto scorre veloce e la voce di Miruna si spezza quando parla degli episodi di discriminazione che ancora oggi subisce, “l’ultimo qualche giorno fa. Mi scatena rabbia, disagio, è difficile elaborare questa sofferenza”, racconta. “Nell’ambito universitario, la vita era diversa: era come una bolla, sembrava che non esistessero i pregiudizi. Invece fuori la vita è diversa: pur parlando italiano, sul tram o per strada senti ancora commenti come “Impara a parlare italiano”, “torna a lavorare nel tuo paese”. Fa male, ma credo fortemente che la società stia cambiando. Io e quelli della mia generazione forse saremo gli ultimi ad aver vissuto questa esperienza e ad esserne testimoni. Forse i giovani dopo di noi e gli stranieri di seconda generazione, quelli che parlano “il romanaccio”, riusciranno a convivere senza discriminazioni”.

“Il V Municipio è la nostra casa, è qui che abbiamo costruito la nostra vita”, dice Miruna, che sottolinea anche un fenomeno interessante legato alla pandemia: “il covid ha messo in crisi molti lavoratori romeni in Italia, quindi si è verificato negli ultimi mesi un flusso migratorio di ritorno. Ma è vero anche che con l’abbassamento dei prezzi delle case, molti romeni che negli ultimi anni hanno risparmiato dei soldi sono riusciti a sfruttare la situazione e ad acquistare una casa”. Proprio qui, nel V Municipio, molti romeni hanno scelto di mettere le proprie radici.

Miruna Cajvaneanu, giornalista e ricercatrice romena

Associazionismo e reti di solidarietà

L’aiuto spontaneo tra le persone è spesso una forma di accoglienza dal basso che si sostituisce a quella più “istituzionale””, spiega Miruna. “Per esempio, nel disbrigo pratiche burocratiche, ostacolo anche per molti italiani, mi capita spesso di supportare donne romene che hanno scarsa conoscenza del territorio e della lingua italiana, come accade per esempio nell’iscrizione dei figli a scuola. Per iscrivere le mie figlie a scuola io mi affidai alle segretarie, che furono gentilissime e disponibili”, ricorda. “Un altro punto di supporto è stato per molti romeni la parrocchia di Torre Spaccata, dove Don Rafael ha creato una comunità solidale che organizza eventi, centri estivi e una rete di aiuto per gli stranieri, molti dei quali romeni”.

“Il Municipio potrebbe fare di più, porsi un obiettivo di inclusione più chiaro e sistemico”, spiega Miruna, che nel V Municipio è attiva con l’associazione Europaeus, fondata con un’amica romena e un’italiana. La mission di Europaeus si fonda principalmente su una componente civica e su una culturale. “Da un lato sensibilizziamo e promuoviamo la partecipazione civica dei cittadini europei, per esempio attraverso campagne di informazione sul diritto al voto, dall’altra abbiamo però l’esigenza di creare sinergie tra la cultura romena e quella italiana, non ghettizzandoci ma piuttosto aprendoci alla reciproca conoscenza. Tra le iniziative di Europaeus, c’è il recente corso sulla Costituzione italiana per i cittadini romeni al centro Morandi, realizzato prima della pandemia, la collaborazione con l’Associazione La Farandola e con la scuola San Benedetto, la campagna “Uniti contro il razzismo” del 2015, la partecipazione alla Festa Interculturale di Centocelle nel 2013.

“Creare reti associative sarebbe importantissimo per i romeni residenti nel Municipio V”, spiega Alina Dohotaru, psicoterapeuta. Arrivata in Italia nel 2001, dalla città di Vaslui, Alina ha studiato in Italia e oggi lavora a Centocelle in uno studio privato ed è anche operatrice sociale in una cooperativa che si occupa di emergenza abitativa nel VII Municipio.

Alina Dohotaru, psicoterapeuta e operatrice sociale

Dopo cinque anni a Ladispoli e molti a Piazza Bologna, Alina ha scelto di vivere con il marito tunisino nel V Municipio. “I punti di forza di questa zona sono i collegamenti e l’accessibilità dei prezzi delle case. Di contro, però, c’è un po’ di degrado: immondizia, strade senza marciapiedi e cosa più grave, fenomeni di criminalità e prostituzione”.
“Essendo mamma da due anni e mezzo e lavorando, non ho più moltissimo tempo per la socialità, ma credo che il nostro territorio, che già ha una sua vita di quartiere, necessiti di spazi culturali e di aggregazione soprattutto per le molte donne romene che lavorano come badanti che stanno gran parte del tempo in casa”.

Un punto di intercultura molto forte è rappresentato per Alina dalla moschea di Centocelle e dalla parrocchia di San Felice: a maggio, con mio marito, abbiamo assistito all’iftar, ed è stata un’esperienza comunitaria molto bella“.

La storia di Roxana

In Romania viveva in un paesino, Macin, vicino al Danubio, che dista due ora da Costanza. Come molti romeni, per cui i ricongiungimenti familiari sono molto frequenti; anche Roxana è arrivata in Italia per ricongiungersi con sua madre. Quest’ultima era emigrata in Italia inizialmente da sola, poi è stata seguita dal padre di Roxana. “Quando mia madre è venuta a trovarmi a Macin, non ha più voluto staccarsi da me e così sono venuta anche io in Italia”.
Come succedeva spesso fino alla metà del Novecento agli italiani che si riunivano nella piazza del paese e aspettavano un padrone che gli facesse guadagnare la giornata, anche oggi molti romeni vanno per le strade vicino a via Togliatti e cercano qualcuno che gli dia da lavorare. “A mio padre è capitato in questo modo di trovare lavoro. Fortunatamente ha incontrato una persona che lo ha assunto come tecnico frigorista, lavoro che svolge tuttora”.

Il lavoro e le differenze di genere

Per quel che concerne il lavoro e le differenze di genere, Roxana racconta che le donne fanno spesso lavori di cura, come le colf o le assistenti familiari, mentre gli uomini sono impiegati per lo più nel campo dell’edilizia. Le parole di Roxana trovano conferma nei dati che mostrano come il settore dell’edilizia sia il prevalente campo di impiego per la comunità romena.  Sono 41.188 i romeni – su 242.285 stranieri, cioè il 17,2%, sul totale di addetti del settore che sono  1.406.781 –  che sono occupati nell’edilizia.
Il secondo settore è l’agricoltura, che vede occupati 107.591 su oltre 250mila stranieri, pari al 25,2% del totale degli occupati nel settore. Il terzo è quello dei servizi alla persona, con circa 2milioni di addetti, dei quali 1.200.000 irregolari, e dove il 60% è straniero con una prevalenza di romeni pari al 20% degli addetti.

Una famiglia sui generis

“I romeni”, sostiene Roxana, “vivono tutti insieme dentro uno stesso alloggio. Mettono dei soldi da parte per poi costruire una casa. Io e la mia famiglia invece, abbiamo vissuto da soli, senza parenti o amici. A dire il vero oggi, che il flusso migratorio è scemato, le famiglie spesso riescono a vivere da sole”.
Roxana si ritiene fortunata, in quanto la sua famiglia, rispetto a quelle che solitamente arrivano in Italia, ha sempre avuto una certa stabilità economica. La mamma, laureatasi a La Sapienza, lavora come assistente sociale. Roxana fa la cantante in un coro multietnico, la cameriera e la babysitter, e nel tempo libero ama disegnare.
Siamo una famiglia diversa, un esempio vivente dell’integrazione. Viviamo, come famiglia, appieno la società. Inoltre, la nostra è la classica storia di riscatto sociale: mio nonno in Romania era uno zingaro, e per questo veniva discriminato”.
Se Roxana a 28 anni è una ragazza che si sente italiana e che frequenta in continuazione italiani e italiane, molti suoi connazionali sono fortemente legati al concetto di famiglia. “Moltissimi dei miei coetanei hanno già una famiglia e dei figli. Hanno sposato un romeno, parlano romeno… Io, con mia madre ho sempre parlato l’italiano. Parlo romeno solo con mio padre”.

Elisabetta Rossi e Marco Marasà
(22 settembre 2021)

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