“Rom dentro e fuori dal campo”: l’alternativa al campo c’è, ma non si vede

Frame dal reportage "Rom dentro e fuori dal campo"
Frame dal reportage “Rom dentro e fuori dal campo”

Il motore che spinge i giornalisti ad occuparsi della comunità rom e sinti è sempre il medesimo: affrontare il pregiudizio, innanzitutto il proprio.

Zingari, ladri, mendicanti sono infatti solo alcuni degli infelici epiteti che vengono rivolti ai rom che risiedono in Italia e ciascuno di questi necessita un percorso di confutaizone dedicato. Con il documentario “Rom dentro e fuori dai campi”, Andrea D’Orazio e Giulia Di Stefano hanno voluto sfatare un altro mito negativo, ovvero il campo nomadi raccontando anche l’alternativa dell’autorecupero.

Si tratta di una realtà fortemente ghettizzante e spesso teatro di scontri violenti, come dimostrato dall’ultimo fatto di cronaca verificatosi nel campo di Via Amarilli, zona La Rustica, dove, stando alle prime informazioni, ci sarebbe stato uno scontro tra vigili urbani ed i rom, da appurare chi abbia dato origine alla tensione.

Il lavoro di Andrea e Giulia si è svolto nel 2014 all’interno del campo autorizzato di Via Luigi Candoni a Roma. “Il problema è che molti dei rom hanno paura di uscire da quella realtà. O quantomeno temono l’incertezza di allontanarsene” sottolinea Andrea. I discorsi s’intrecciano: dire che si è rom durante un colloquio di lavoro equivale a non averlo e quindi a non poter avere un contratto per una casa ed infine a ritrovarsi, nel circolo vizioso, di ritorno all’opzione campo nomadi. “Entrare in un campo e vederlo in tv sono, naturalmente due cose ben distinte. Prima di arrivare c’è l’odore di bruciato, di tossico, neanche lo vedi ancora il campo, che già lo annusi.”

Queste realtà sono di fatto un’anomalia, per la quale l’Italia è stata richiamata da Strasburgo con una denuncia “dell’Ecri, la commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, del Consiglio d’Europa, nel suo ultimo rapporto sull’Italia. Ci sono stati alcuni passi avanti ammette la commissione – ma il processo che dovrebbe portare al pieno rispetto dei diritti dei Rom «è lento». Più di ogni altro aspetto, l’Ecri sottolinea che le autorità italiane non hanno ancora introdotto misure per assicurare ai Rom colpiti da ordini di sgombero i diritti garantiti agli altri cittadini, vale a dire la possibilità di contestare l’ordine di sgombero, di sfratto, davanti a un tribunale, e la possibilità di accedere a un luogo dove poter abitare” si legge su La Stampa online del 25 febbraio 2015.

Come sarebbe dunque possibile affrontare in maniera costruttiva la situazione? Una risposta è l’autorecupero, “poco conosciuta nella zona di Roma ed invece più utilizzata altrove, in Italia. consiste nel recupero di case di proprietà di aziende, con le quali si stipula un accordo che prevede, in estrema sintesi, che se ci si occupa di fare i necessari lavori di ristrutturazione, per un certo numero di mesi non si pagherà l’affitto, e si entrerà a regime di pagamento in seguito.” Tuttavia, in questo caso, il problema che si pone è un altro, se a recuperare queste abitazioni sono soltanto i rom si rischia di passare dalla ghettizzazione del campo a quella dei quartieri. “Ideale sarebbe se il recupero venisse fatto da rom, cittadini stranieri, disoccupati italiani e chiunque si trovi in una situazione di disagio abitativo”, ma come realizzarlo?

La risposta migliore alle numerose domande è nel documentario di Andrea e Giulia che di quesiti è destinato a sollevarne molti altri. Insomma i campi non possono essere la soluzione, lo dicono diversi membri della comunità e lo dicono gli episodi di cronaca, ma si è disposti a concretizzare un’alternativa?

https://youtu.be/Z4lx23O3o9c

Piera Francesca Mastantuono

(1 aprile 2015)

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