Anche se una partita finisce 4 a 1, come nel caso di Romania e Perù, non c’è amarezza e non esistono sconfitti. E chi non capisce questo spirito è fuori, come hanno scoperto Egitto e Paraguay, squalificate per motivi disciplinari. Un caso senza precedenti per il Mundialido 2016, il torneo di calcio per stranieri che da 18 anni promuove l’incontro tra culture a Roma attraverso lo sport.
Cristian Calotà giocava in Romania, ma ha smesso quando è arrivato in Italia: “Era il 27 gennaio 1990, una data che non dimenticherò mai”. La prima volta ha viaggiato in treno: “Sono stato qui un anno, poi ho provato a tornare nel mio paese, ma non ha funzionato e così sono dovuto rientrare in Italia clandestinamente, attraversando la frontiera a piedi”. Romeno e romano in egual misura, dopo 26 anni vissuti a Garbatella, ha uno sguardo fiero quando racconta della sua famiglia e indica il figlio quasi maggiorenne: “Anche lui gioca, io sono il suo mister”. E se gli chiedi cosa è cambiato in Italia in tutto questo tempo ti risponde che: “Sì, c’è la crisi, ma dobbiamo essere noi stessi a vivere con meno vizi, non diamo valore a niente”.
“Mio cognato si è sposato a Lima” sorride, Cristian Calotà, il numero 5 della Romania, stringendo la mano all’allenatore del Perù a fine partita. “Ci siamo conosciuti grazie al Mundialido e giochiamo insieme da anni” racconta mister Romero. La sua formazione, come quella di Sandu Beca, è una veterana del torneo di calcio per stranieri della capitale, ma quest’anno è in fase di completo rinnovamento: “Per anni abbiamo avuto ex giocatori, in questa edizione abbiamo deciso di reclutare ragazzi dai 17 ai 25 anni”. Un’iniziativa portata avanti attraverso il passaparola nelle comunità e su Facebook per chiamare le nuove generazioni allo sport: “Nel mio paese ho giocato in serie A e B e quando sono arrivato qui mi sono innamorato del calcio italiano, perché trasmette una disciplina che ti porti sul campo, ma anche nella vita”. Uno dei problemi della comunità peruviana è la mancanza di spazi di aggregazione: “I nostri ragazzi non hanno punti di riferimento. Questa iniziativa nasce per loro e anche se è dura perché mancano i fondi il nostro progetto è creare una società sportiva che sia un polo di attrazione per i giovani peruviani”.
“Come ci siamo conosciuti? Per pura sfortuna”. Secondi classificati nell’edizione 2015, i giocatori del Capo Verde scherzano a bordo campo in attesa di entrare. Sono giovani e giovanissimi, partecipano al torneo di calcio dal 2004 e sono super affiatati: “È tutto un gioco di squadra, anche fuori”. Ragazzi nati o cresciuti in Italia che per tutta la vita hanno dovuto fare i conti con la burocrazia: “Io ho ottenuto la cittadinanza un anno fa – racconta il 20enne Yannik, studente di informatica – una procedura incredibile, mi hanno chiesto i documenti che attestassero di aver frequentato in Italia la scuola fin dall’asilo nido e tutte le vaccinazioni”. La riforma di legge per la concessione della cittadinanza italiana ai figli di stranieri nati o cresciuti nel nostro paese è bloccata in Senato da oltre 7.000 emendamenti. “Siamo il terzo mondo dell’Europa” è la convinzione di Danila, moglie del centrocampista Jefferson. “Ancora oggi mi chiedono il permesso di soggiorno, nonostante sia scritto sul mio documento che sono una cittadina italiana”.L’incontro tra Capo Verde e Congo sta per iniziare. Danila indossa la maglia della sua squadra, i tamburi iniziano a tuonare. Il pubblico del Capo Verde, premiato come migliore tifoseria del Mundialido 2015, si prepara a sostenere i suoi campioni, accompagnandoli verso il 3 a 1.
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Foto di Giuseppe Marsoner
Sandra Fratticci(13 giugno 2016)
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