Municipio V, quella bengalese è la comunità più numerosa

Bangladesi nel V Municipio: il volto giovane (e maschile) dell’imprenditoria migrante

Quella bangladese è la settima comunità straniera per numero di regolarmente soggiornanti e conta 148.389 titolari di un permesso di soggiorno valido al 1° gennaio 2020, pari al 4,1% dei cittadini non comunitari in Italia.

Uno straniero su dieci è bengalese e oltre un bengalese su quattro è romano. Nel V Municipio, i cittadini bangladesi sfiorano i 10.000 abitanti: con 9.661, il 22,5% del totale degli stranieri, essi rappresentano la maggioranza assoluta di bangladesi residenti a Roma. A Torpignattara essi sono il 5,8%, a Centocelle il 3,4%.

Dei tre principali fattori che influenzano la localizzazione della popolazione straniera – ovvero l’accessibilità economica degli alloggi, la vicinanza alle attività imprenditoriali di commercio e ristorazione condotte in proprio o come dipendenti e i lavori domestici per i quali viene posta la residenza nelle case dove vengono svolti – il V Municipio rappresenta indubbiamente un esempio di immigrazione straniera che si lega al secondo di questi fattori. I quartieri che lo compongono infatti, sono stati visibilmente trasformati dalla presenza di comunità straniere, prime su tutte quella bangladese, che qui si è insediata per aprire attività commerciali di vario genere.

Roma – Municipio V


Bangladesi in Italia: caratteristiche demografiche

Analizzando le principali caratteristiche demografiche dei cittadini bangladesi regolarmente soggiornanti in Italia al 1° gennaio 2020, si registra che i bangladesi che vivono sul territorio nazionale sono prevalentemente giovani: la loro età media è inferiore a quella rilevata sul complesso dei cittadini non comunitari (28,9 anni a fronte di 34,2 anni). Il 45,4% ha meno di 30 anni, dato che sale al 58,6% considerando le sole donne. Al 1° gennaio 2020 inoltre, i minori bangladesi giunti in Italia sono attestati a 33.287.

I giovani bangladesi che crescono in Italia si trovano oggi in una posizione “in bilico”: subito si pensa al giovane regista Phaim Bhuyan, cresciuto nel quartiere di Torpignattara, che nel film Bangla, ha portato alla luce la condizione identitaria dei suoi coetanei bangladesi, divisi tra la cultura di appartenenza, improntata al lavoro e al matrimonio, e quella acquisita in Italia, volta più alla realizzazione personale.

Phaim Buhyian, foto: il messaggero.it

Hossain Mohd Akter, la situazione lavorativa dei bengalesi del Municipio V

Hossain Mohd Akter è in Italia dal 2005 ed è qua per via di un ricongiungimento familiare, ha infatti raggiunto sua moglie che già viveva in Italia. Entrambi sono laureati: Hossain ha studiato nel suo Paese d’origine, sua moglie in Italia.
Hossain parla volentieri ma con leggero imbarazzo, celato da un sorriso birichino che ogni tanto gli compare sul viso: “Le donne faticano molto a trovare lavoro. Se riescono a trovare un’occupazione è nel settore delle pulizie“.

Le parole di Hossain sono corroborate dai dati, secondo i quali per le donne si registra un tasso di disoccupazione e/o inattività pari all’83%. Sono gli uomini dunque a costituire l’avanguardia dell’immigrazione; le donne arrivano successivamente una volta sposate o celebrando in Italia il matrimonio ‒ spesso combinato ‒ rimanendo poi escluse dal circuito lavorativo.
Gli uomini lavorano soprattutto nella ristorazione e, spiega Hossain, meno, rispetto al passato, nei supermarket. Infatti, come si legge nel rapporto annuale sulla comunità bangladese del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, più della metà delle persone è inserita all’interno del settore del commercio e della ristorazione, il 58%, a fronte di un 24% rispetto agli altri lavoratori non comunitari. Anche gli uomini, tuttavia, faticano a trovare un impiego e “il comune dovrebbe aiutare le persone a trovare un’occupazione, invece non fa niente. C’è un mio amico bengalese che da un po’ di tempo vive in un parco. È lasciato solo”.
Hossain lavora come cuoco in un ristorante nei pressi del Campo dei Fiori. Prima della pandemia da Covid-Sars 19 lavorava in un ristorante denominato “Antica Piccola Roma”. “Ero tornato nel paese per la scomparsa di mio padre. Quando sono tornato, “Antica Piccola Roma” non c’era più, aveva chiuso senza avvisare e pagare gli stipendi arretrati”, racconta.

Attività culturali e la scuola Pisacane, esempio di multiculturalismo

Riguardo alle attività culturali, Hossain rispolvera un annoso problema: “come fanno le classi lavoratrici, per di più con famiglia, come nel caso della comunità bengalese, ad avere il tempo di godere di un film, di una mostra, ecc.?”.
Infatti il tempo libero sembra essere fortemente pregiudicato dal lavoro. La realizzazione personale, inoltre, è legata a quella del successo della comunità. I bangladesi, culturalmente molto legati al concetto di famiglia, lavorano insieme, si aiutano a vicenda nei lunghi turni di lavoro nei negozi e nei market, così diffusi nella Capitale. Ed è così che questi rimangono aperti per molte ore al giorno, solitamente fino alle undici o alle due di notte.

Per quel che riguarda l’istruzione invece, le cose nel Municipio vanno decisamente meglio. Bachu Legal, del Bangladesh, è il presidente dell’associazione Dhuumcatu, associazione onlus che funziona come uno sportello per i migranti del Sud dell’Asia. Nata nel 1992, conta 8000 iscritti, provenienti soprattutto dal Bangladesh, India, Nepal e Pakistan. Offre servizi amministrativi alla popolazione straniera e organizza eventi interculturali. L’associazione è inoltre impegnata nella campagna per il riconoscimento dei diritti politico-sociali degli immigrati e il dialogo tra residenti autoctoni e stranieri.

Bachu, in Italia da quasi 32 anni, è sempre vissuto a Roma e in particolare nel V Municipio, dove risiede da circa 12 anni. “Per capire la convivenza nel quartiere devi studiare il caso della scuola Pisacane”, spiega, “è un vero esempio di come si vive la multiculturalità”. Ventitrè nazionalità diverse in un’unica scuola. “Mai visto un problema fra bambini italiani e stranieri, solo qualche lamentela a volte tra genitori”.

Convivenza nel quartiere di Torpignattara

Riguardo alla convivenza nel quartiere, secondo Bachu, i problemi tra la comunità italiana e quella bengalese e in generale con quelle straniere, sono spesso create ad hoc dalla politica e dai media. “Se la maggior parte degli stranieri vive in affitto, vuol dire che gli italiani, proprietari delle case, hanno acconsentito e accettano questa circostanza. Se gli italiani non volessero realmente gli immigrati, dopo i quattro anni di contratto, non gli concederebbero il rinnovo”.
Questo significa, evidentemente, che vi è una convivenza reale. Inoltre, spiega Bachu, prima che Tor Pignattara diventasse “il quartiere dei migranti”, era un quartiere desolato, in cui proliferava lo spaccio. I migranti, dal 2007-2010, hanno fatto fiorire molti negozi e arricchito, anche letteralmente, il quartiere. “Nelle manifestazioni contro i migranti, organizzate dalla destra, alle quali ogni tanto assistiamo qui a Tor Pignattara, i partecipanti non provengono quasi mai dal V Municipio, ma vengono “raccolti” in altre zone”.


Secondo Bachu c’è molta ipocrisia in alcune dichiarazioni che si sentono sia dal “volgo” che dalla “governance”: “Da una parte si reclama maggior visibilità del quartiere e, dall’altra, ci si lamenta per il caos. Ma se un quartiere è vivo, e questo è grazie soprattutto alla presenza degli stranieri, è logico che vi sia anche del trambusto”.
Un esempio di quanto gli stranieri si sentano uniti, anche emotivamente, con la comunità italiana viene fornito, secondo Bachu, dalla vittoria dell’Italia agli Europoei di calcio disputati quest’estate: “sono stati moltissimi gli stranieri del Municipio che si sono riversati per le strade per festeggiare“.

La vita di Sonya nel V Municipio

“Al V Municipio ho trovato uno spazio aperto dove sviluppare le relazioni umane”. A parlare è Sonya, trentenne bangladese, arrivata in Italia all’età di nove anni assieme a suo padre e ai suoi fratelli e sorelle. “La nostra vita in Italia è cominciata a Pomezia”, racconta, “dove all’inizio l’inserimento nell’ambito scolastico è stato molto difficile. Senza un sostegno per la lingua italiana, l’integrazione è stato un percorso avviatosi molto lentamente”.
Oggi Sonya, che porta i suoi bambini all’Istituto Artemisia Gentileschi di Centocelle, che comprende la scuola dell’infanzia “Pezzani” e la Primaria “Cecconi”, si ritiene molto soddisfatta del lavoro che la scuola svolge per l’inclusione scolastica e non solo dei bambini stranieri. La scuola per Sonya è un punto di incontro tra la comunità bangladese e gli italiani: “conosco tante mamme bangladesi, alcune che vivono qui da anni e altre appena arrivate e quindi in difficoltà con alcune procedure burocratiche. Per loro faccio spesso da interprete e da mediatrice, anche se la scuola è già di per sé rinomata per la sua multiculturalità, quindi il personale è competente e preparato a dialogare con gli stranieri”.

Sonya

Sonya, che si divide tra gli impegni familiari e il lavoro in un centro Wind della zona, racconta di non avere altre occasioni di socialità con la comunità bangladese. Molti invece, i rapporti di amicizia e conoscenza con gli italiani: “posso dire di non aver mai subito dinamiche di razzismo o di esclusione”, afferma.
La vita nel V Municipio scorre tranquilla e Sonya non la cambierebbe per nulla al mondo: “quello che mi dà più sicurezza è sapere che la scuola dei miei figli funziona bene, per loro ci sono spazi aperti dove giocare, molto ordinati e puliti. A volte, i lavori stradali non permettono una circolazione agevole per i pedoni, c’è anche un altro problema estremamente fastidioso, come in tutta Roma, quello della nettezza urbana. Strade più pulite e più in sicurezza, e anche una maggiore organizzazione delle linee dei trasporti pubblici,  il Municipio dovrebbe lavorare di più su questi fronti”.

La moschea di Centocelle, punto di incontro tra stranieri e italiani

Luogo di culto per i fedeli musulmani tra i più frequentati del V Municipio e non solo: la Moschea al-Hudà, coordinata dall’Imam Mohamed Ben Mohamed, è da anni il punto di incontro tra la comunità musulmana e i romani residenti nel Municipio. La reciproca conoscenza passa dalla condivisione di spazi pubblici ed esperienze, per questo la Moschea di Centocelle è senza dubbio uno degli spazi più inclusivi del Municipio.
Come successe nel marzo 2019, in occasione della fiaccolata per le vittime dell’attentato di matrice razzista a Christchurch, Nuova Zelanda: a testimoniare il legame forte tra la comunità islamica di Centocelle e le istituzioni – religiose e non – del quartiere, parteciparono accanto a Mohamed Ben Mohamed diversi rappresentanti delle istituzioni politiche e religiose.
Ma soprattutto nell’ambito delle manifestazioni religiose, la Moschea ha sempre svolto il suo ruolo di dialogo interreligioso, come nell’ultimo iftar, svoltosi lo scorso 9 maggio. “Iftar della fratellanza”, così è stato chiamato, poiché a partecipare sono stati non soltanto i fedeli musulmani del Municipio, ma anche un cospicuo numero di cristiani, parrocchiani della Chiesa di San Felice da Cantalice a Centocelle.

Asinitas, una casa per le donne bangladesi

“È sempre bello vedere come la gente si diverte al nostro passaggio. Ormai sono tre anni che faccio parte della Banda del Minestrone, molti commercianti si ricordano di noi”. Mitul, giovane mamma bangladese e mediatrice culturale, racconta così un evento festoso che ogni anno si tiene per le vie di Tor Pignattara: donne e bambini stranieri, partono dalla sede di Asinitas in via Policastro, per andare a raccogliere gli ingredienti del minestrone tra le vie della città e, fermandosi tra bar e negozi, allietano i passanti con canzoni folkoristiche del loro paese unite a stornelli romani.
Asinitas è un punto di riferimento per le donne straniere del territorio: non solo perché aiuta le donne nel percorso di inclusione attraverso progetti educativi e servizi di accoglienza, ma anche perché ne valorizza le culture di appartenenza, facendo così della diversità una vera e propria ricchezza per tutti.
Ne è un esempio la festa che annualmente si svolge a Tor Pignattara in occasione della Giornata della lingua madre: ogni anno, i bambini bangladesi (ri)scoprono grazie a questa festa i canti tipici della loro cultura di origine, un passo importante, perché è dalla conoscenza delle proprie radici che parte l’integrazione: “La maggior parte di questi bambini è nata qui, pertanto conoscono interamente la lingua e la cultura italiana- ha spiegato Sushmita Sultana, insegnate nella scuola di canto e danza tradizionale bengalese Sanchari Sangeetayan.

Marco Marasà, Elisabetta Rossi
(22 settembre 2021)

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