"Suona francese" da Roma attraversa tutta l’Italia
Oltre 130 concerti in più di 40 città italiane, dalle sale dell'Auditorium di Roma al porto di Genova, passando per Firenze, Milano, Bologna, Catania e tante altre ancora. Questi sono i numeri della sesta edizione di Suona Francese, festival nato per sostenere i nuovi talenti musicali d'Oltralpe
Siria, spazi di intervento e prospettive sul dopo Assad
È da poco passato il secondo anniversario dell’inizio della rivolta in Siria, finora costata la vita a circa 70 mila civili, senza dimenticare il milione di rifugiati nei paesi confinanti. Ma mentre l’occidente si interroga sui giochi di potere e le possibilità di intervento degli schieramenti Usa ed Unione Europea da una parte, Iran e Russia dall’altra - più l’incognita dei paesi arabi - “nessuno pensa alla popolazione e alla società siriana, che sta cercando anche soluzioni creative”, cerca di cambiare prospettiva Donatella Della Ratta, dell’università di Copenaghen e dell’Istituto Danese di Damasco, intervenuta nel corso dell’incontro “Stati Uniti, Europa e il caso della Siria” tenutosi il 25 marzo al Centro di Studi Americani, in via Caetani. “Ad esempio prendendo in giro i messaggi di propaganda lanciati dal regime di Bashar al-Assad”, sfruttando tecniche mediatiche che sono servite proprio per il consolidamento della dinastia al vertice dal 1970.Media e potere Dell’importanza delle “musalsalat”, le telenovele dei paesi islamici particolarmente seguite nel mese del ramadan, qualcosa si sapeva, meno sul fatto che la Siria sia il secondo produttore dell’area, dietro solamente ad un gigante come l’Egitto, con anche i paesi del Golfo acquirenti. “Sono fondamentali, più dei notiziari, per influenzare l’opinione pubblica” continua la Della Ratta, tanto che all’inizio venivano usate per lanciare la linea riformista, “parlavano di temi come corruzione, estremismo religioso, problemi di genere delle donne, erano l’orgoglio di Assad” ed anche agli occhi occidentali significavano un tentativo di trasformazioni sociali, del resto erano volute da un leader non militare e con una formazione universitaria londinese. La sostanza del messaggio stava però nel ritenere che l’elite culturale avrebbe dovuto guidare il cambiamento, attraverso passi graduali, fattore che, oltre al pubblico, convinse anche i produttori. L’idea è proseguita anche con la guerra, con inviti al dialogo, finché i servizi segreti hanno bloccato la messa in onda nel corso del ramadan 2011, “le ipotesi sono due, o si giocava al poliziotto buono-poliziotto cattivo, in modo da scaricare le colpe sull’intelligence, oppure era questa a manovrare i circoli intellettuali, il risultato però non cambia”. Ma qualcosa, anzi molto, la popolazione ha imparato, tanto che i più recenti messaggi governativi contro le divisioni hanno subito parodie nei cartelloni e nelle scritte sui muri per le strade, dove si mantiene la stessa grafica ma si ribalta il senso dell’espressione del potere.Diplomazia o azione? Insieme al Libano ultimo esempio di convivenza civile nel Mediterraneo, tra islamici – drusi, alawiti, curdi solo per citarne alcuni – cristiani, di matrice maronita, caldei, aramaici, greci, armeni, ed ebrei, il modello siriano rischia di essere spazzato via. Nel decennale della guerra in Iraq, il dibattito nella comunità internazionale sulle possibilità e modalità di intervento resta lo stesso, “non c’è mai un modo indiscutibile per sciogliere i nodi”, commenta Guido Lenzi, ambasciatore. Una possibile soluzione starebbe “nell’isolare l’Iran e limitare Arabia Saudita e Qatar”, quest’ultimi due in grado di spostare l’influenza grazie alle ingenti possibilità economiche più che di armi, “riattivare Egitto e Turchia, per diversi motivi spariti dal radar Mediterraneo, tranquillizzare Russia e Cina. Solo coordinandosi al meglio Usa e Ue potranno usare il bastone – americano – e la carota europea per incentivare o far desistere a seconda del caso i diversi attori”.Il ruolo europeo “L’Unione Europea è ancora giovane nel fronteggiare crisi come questa”, l’opinione condivisibile di Florence Gaub, ricercatrice e docente presso il Collegio di Difesa della Nato della Cecchignola. Ma il ruolo può essere determinante se si considera che prima dell’embargo, “consistente in 21 misure, non solo per le armi o il petrolio”, era anche il primo partner commerciale della Siria, con un volume di affari di oltre 3,5 miliardi annui. La scadenza del blocco economico è a giugno e i 27 stanno ridiscutendo i termini, con Francia e Gran Bretagna disposte a rifornire i ribelli, mentre Germania, Svezia ed Austria hanno perplessità, condivise da Obama, “per l’ipotesi che possano andare alla gente sbagliata. Su 60 milizie non c’è infatti un comando unitario di riferimento”, specialmente ora che si è dimesso il leader dell’opposizione al-Khatib. “È probabile che si arrivi ad una soluzione più elastica per Francia ed Inghilterra”. Difficile che si arrivi a negoziati, almeno in tempi brevi: “non c’è una fase di stallo, tutte e due le forze sono convinte di arrivare alla vittoria, non è interesse di nessuno sedersi ad un tavolo”.La Siria del futuro Del rischio estremismo ne parlava già Hafiz al-Assad, padre di Bashar, negli anni ’80, ora anche il presidente statunitense, in visita ad Amman, ha in questi giorni sollevato la questione del dopo Assad, con l’eventualità che i fondamentalisti salgano al potere, motivo che spinge Israele a sperare nella continuità. Al di là delle congetture, ci sono fatti sostanziali da analizzare per i governi del futuro. “È vero che si trovavano diverse etnie e religioni, ma molto frammentate”, riporta Lorenzo Trombetta, giornalista Ansa e di Limes da 7 anni residente a Beirut. “La cultura della capitale Damasco è diversa da quella delle zone periferiche, con varie sfumature intermedie si va dagli intellettuali delle università ai jihadisti di Hidlib”. Quello che si spera sparisca è la denominazione di repubblica “araba”, già che almeno il 10% della popolazione è curda, ma la soluzione di uno stato federale sul modello iracheno non pare reggere, “rievoca la realtà coloniale francese, nonostante le differenze la preferenza è per lo Stato unitario”. Le sfide saranno ostiche, a partire dal riassorbimento della militarizzazione, “sarà difficile convincere a lasciare le armi persone a cui è stato tolto tutto e – non biasimabili - desiderose di vendetta”, al discorso sui diritti civili garantiti per tutti, “quando ci sono esperienze come quella della zona di al-Bab, a nord est di Aleppo, in cui è stata ripristinata la Sharia, si riuscirà ad integrarla con le realtà urbane? Questi i temi su cui riflettere e lavorare”.
Spazio aperto in movimento… passaparola!
Siccome Piuculture fa parte della Rete Scuole Migranti, e ne adora il concetto, nella simbolica fusione tra II e III Municipio, considerati così diversi, siamo andati a cercare un'associazione simile alla nostra...
Newroz piroz be! Il Kurdistan entra nel 2712
Newroz, capodanno curdo, si entra nel 2712. Letteralmente vuol dire “nuovo giorno” e forse mai come quest’anno l’augurio potrebbe avere un senso, già che proprio per il 21 marzo è atteso un messaggio del leader del Pkk Öcalan, dal carcere di un’isola sul Mar di Marmara, per uno storico cessate il fuoco, nella speranza di una soluzione pacifica che possa realmente portare libertà e gioia ad un popolo martoriato da decenni. È con questa prospettiva ed energia positiva che prendono il via i due giorni di festeggiamenti, il 20 marzo divisi tra il centro culturale Ararat e la dirimpettaia Città dell’altra economia a Testaccio, seguiti il giorno successivo da poesie e danze folkloristiche al Teatro Valle Occupato.Il significato del newroz Fatta coincidere con l’equinozio di primavera, la ricorrenza viene celebrata in diversi paesi dell’Asia mediorientale e centrale fino al Caucaso ed in Albania, motivo per cui il nome assume diverse sfumature, a seconda del paese. La tradizione comprende l’uscita dalle città e l’accensione di fuochi nelle campagne, accompagnati da musiche e danze fino a tarda ora. Gli uomini portano la bandiera curda, verde, gialla e rossa, le donne vestono sgargiante. “L’uso del fuoco deriva da un mito nel quale il popolo curdo si può riconoscere facilmente”, spiega Erdelan Baran, presidente dell’Uiki – Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia. “Un eroe voleva salvare la sua gente da un re oppressore, quindi lo uccise e ne bruciò il castello. Oggi è uguale, stiamo in resistenza contro un colonialismo, non è solo una festa culturale, il significato è anche politico, liberare chi non ha un nome. È un’occasione per stare ancora più uniti, in patria o all’estero, in Germania si sono raggiunte le 100 mila presenze”. Ecco perché in Turchia il newroz è stato categoricamente vietato fino al 2000 ed anche negli ultimi anni ci sono stati diversi scontri. Nel 2011 Erdoğan ha provato ancora una volta a cancellare la festa, con il risultato di ulteriori incidenti con le forze dell’ordine, “stiamo insieme per proteggerci e non permettiamo a nessuno di dividerci, questo è il messaggio”.Antonio Olivieri Tra i partecipanti dello scorso anno anche il nostro connazionale Antonio Olivieri, presidente di Verso il Kurdistan, espulso dal governo di Ankara e pochi giorni fa respinto alla frontiera perché personaggio non gradito, per aver mostrato sensibilità alla causa curda. Puntuale il comunicato di solidarietà da parte di varie associazioni, tra cui Europa Levante - attiva nella promozione della collaborazione tra Ue e le aree oppresse ai suoi confini. Non si tratta del primo episodio, si legge, di certo “non è la strada per la costruzione di un dialogo sollecitato da più parti”. Appare chiaro il tentativo di isolare ogni simpatizzante straniero, comportamento inaccettabile per un paese che mira all’ingresso nell’Unione Europea.Il centro culturale Ararat Occupato dal 1999, il centro prende il nome dalla nave con cui arrivarono i primi curdi in Italia. La funzione è di accoglienza per i richiedenti asilo dal Kurdistan, con 60 posti a disposizione e un’ampia rotazione una volta che si ottiene il riconoscimento dello status di rifugiato. “Preferiscono l’Ararat ai Cara, sia perché i secondi sono pieni, ma soprattutto per riscoprire se stessi, l’identità culturale”, racconta Baran. “Ci sono molte iniziative, sulla musica, la danza, cui partecipano varie associazioni e molti italiani. Si tengono informati guardando la tv curda, in più vengono aiutati con la burocrazia”. I motivi della fuga possono essere diversi. Innanzitutto coinvolge maggiormente i giovani, “perché non ancora sposati, chi ha una moglie e figli tende a rimanere”. Alcuni scappano per non svolgere il servizio militare, “che li potrebbe costringere ad uccidere i propri connazionali, magari parenti ed amici”. Oppure per la povertà, “il nazionalismo sul posto di lavoro vieta di esprimerti ed espone ad attacchi, anche nelle università è lo stesso, a volte neanche ci si può iscrivere”. Chiaro come diventi impossibile un percorso di crescita che consenta di mantenersi dignitosamente.Proiezioni di documentari e foto In apertura è stato proiettato il documentario di Maurizio Fantoni Minnella “Dietro le mura di Diyarbakir”, immagini della capitale riprese nello scorso luglio, in periodo di Ramadan, che mostrano lo spaccato quotidiano. “Il film non parla, lascia parlare la gente”, commenta il regista presente in sala. “È lo sguardo di un italiano curioso, ammirato e affascinato, attraverso i luoghi e le atmosfere, adeguandosi ai ritmi lenti, dovuti al caldo - 47 gradi all’ombra - e al non potersi dissetare per il digiuno”. Si vedono infatti diversi uomini dormire nelle moschee, bambini che, esentati dalla purificazione, possono giocare in piscina, altri che trovano refrigerio con un gelato, anche se stona vedere tra i più piccoli le maglie di squadre del campionato turco, come Galatasaray e Beşiktaş. A seguire, il progetto fotografico dell’associazione Camera 21, che ha coinvolto diversi ospiti dell’Ararat, che dopo un mese e mezzo di laboratorio finanziato dalla Provincia di Roma hanno raccontato il loro modo di vivere l’Urbe, nel centro di accoglienza e per le strade: “partecipare è stata una grande gioia”, dichiarano in coro i ragazzi, “abbiamo potuto esprimere ciò che vediamo con i nostri occhi, le difficoltà e quello che ci fa piacere”.
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V4, Rassegna cinematografica dei Paesi del Gruppo Visegrad - Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Ungheria - dal 2 al 5 marzo con 12 tra i migliori film recenti alla Casa del Cinema
V4 per 12 film = il cinema dell’Europa dell’Est a Roma
Si tiene alla Casa del Cinema, dal 2 al 5 marzo, V4Film, la Rassegna cinematografica dei Paesi del Gruppo Visegrad - Slovacchia, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca - con 12 delle migliori produzioni degli ultimi anni.