La comunità cinese in Italia: sfatiamo gli stereotipi

Esperti cinesi e italiani a confronto per superare alcuni degli stereotipi che circondando la comunità cinese in Italia nel convegno organizzato da Piuculture e dal Coris, Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale de La Sapienza Università di Roma
Esperti cinesi e italiani a confronto per superare alcuni degli stereotipi che circondando la comunità cinese in Italia nel convegno organizzato da Piuculture e dal Coris, Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale de La Sapienza Università di Roma

“Oggi vogliamo sfatare alcuni degli stereotipi associati ai cittadini cinesi”. Apre così Nicoletta del Pesco, direttrice del giornale online Piuculture, il convegno Raccontare la comunità cinese, promosso in collaborazione con il Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale de La Sapienza Università di Roma.

La tendenza a considerare i cinesi una comunità chiusa è strettamente legata alle barriere linguistiche, come spiega Ji Yuan, responsabile cinese dell’Aula radiofonica Confucio Cri-Uni-Italia, piattaforma multimediale per lo studio della lingua e della cultura cinese : “I migranti di prima generazione non sono riusciti a imparare l’italiano perché trascorrendo molto tempo al lavoro avevano difficoltà a seguire dei corsi, senza i quali sarebbe stato impossibile per loro comprendere una lingua radicalmente diversa da quella d’origine”. In italiano ci sono due generi, maschile e femminile, e due numeri, singolare e plurale, il verbo è flesso per modo, tempo, diatesi, persona e numero. “In cinese tutto questo non esiste, mentre il significato dei termini varia a seconda dei toni con cui vengono pronunciati”. Alla barriera linguistica si affianca una tradizione culturale che valorizza il riserbo: “Un nostro proverbio afferma che chi parla di più sbaglia di più”. Si registrano però profondi cambiamenti con la seconda generazione e, soprattutto, la terza: “Sono italiani con facce cinesi, per loro l’esigenza è al contrario conoscere la cultura d’origine”.

“Quando sono arrivata in Italia mi sono resa conto che c’erano difficoltà di comunicazione tra genitori e figli. I ragazzi si erano italianizzati, mentre i genitori parlavano solo cinese”. È così che Jiang Zhonghua ha deciso di aprire una scuola di lingua e cultura cinese nel cuore dell’Esquilino, frequentata da bambini e ragazzi di origine cinese e italiana. “Ci capita a volte di iniziare una frase in cinese e terminarla in italiano o viceversa. La cosa più divertente è parlare una lingua usando la struttura grammaticale dell’altra”. Sisi è una studentessa della scuola Zhonghua, l’ha iscritta la mamma quando aveva 12 anni e lei oggi la ringrazia: perché pur provenendo da una famiglia cinese sapeva poco o nulla delle sue radici orientali. Adora le letture di poesie in classe e le celebrazioni come quella del capodanno cinese, mentre non ama particolarmente i dettati: “Con tutti quegli ideogrammi da memorizzare… Solo per leggere un giornale bisogna conoscerne tra i 2.000 e i 3.000”. Si considera italiana e cinese, studia per diventare interprete, e risponde a domande curiose: “Gli italiani mi chiedono perché i cinesi non muoiono mai e spiego che preferiscono trascorrere la vecchiaia nella terra d’origine. Ai cinesi d’altro canto devo spiegare la gestualità italiana”.

Esperti cinesi e italiani a confronto per superare alcuni degli stereotipi che circondando la comunità cinese in Italia nel convegno organizzato da Piuculture e dal Coris, Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale de La Sapienza Università di Roma
Esperti cinesi e italiani a confronto per superare alcuni degli stereotipi che circondando la comunità cinese in Italia nel convegno organizzato da Piuculture e dal Coris, Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale de La Sapienza Università di Roma

Lifang Dong, avvocato e fondatrice della Dong & Parners Law Firm, evidenzia il ruolo dei nuovi italiani in campo economico: “L’essere cresciuti a cavallo di più culture ci ha garantito una flessibilità e apertura che oggi ci consente di operare come ponte nei confronti delle imprese italiane che vogliono internazionalizzarsi e delle imprese cinesi che intendono investire in Italia”.Un mix di paura, ammirazione e sgomento caratterizza la percezione che gli italiani hanno della crescita cinese e delle sue contraddizioni, come sottolinea Lia Ghisani, presidente dell’associazione di volontariato Piuculture. “Il primo pensiero va ai capannoni di Prato, alle giornate lavorative di 14 ore, all’impiego di minori. D’altro canto la presenza in Italia di 43.000 aziende cinesi rivela una capacità imprenditoriale straordinaria. Nella visione di molti italiani però i cinesi sono quelli che comprano le nostre aziende le trasferiscono all’estero, togliendo loro lavoro”.Le differenze tra imprenditori cinesi e italiani sono al centro dell’intervento di Chen Zhengxi, presidente dell’Associazione generale dei commercianti cinesi in Italia. Se i primi si distinguono per coraggio, perseveranza e audacia i secondi rivelano maggiori capacità di valorizzare le competenze dei lavoratori, curare la qualità dei prodotti e investire in ricerca e sviluppo.

Sul versante delle narrazioni mediali Marco Bruno, professore aggregato e ricercatore del Coris, registra uno scarto interessante “Nel racconto giornalistico della comunità cinese si tende a rappresentare una dimensione spesso assente in altre comunità, ossia quella del lavoro, proposta però in una chiave problematica che pone l’accento esclusivamente sullo sfruttamento”.Passando alla dieta mediale del pubblico cinese Dixi Yang, avvocato e responsabile del gruppo giovanile Comitato di rappresentanza cinese in Italia, spiega che differenze nel modo di ricercare informazioni tra la prima generazione – affezionata ai giornali cartacei – e la terza – amante di internet – sono state fortemente ridotte dall’uso generalizzato di WeChat, piattaforma per smartphone che unisce le funzionalità di WhatsApp e quelle di Facebook.Tra le buone pratiche per favorire l’integrazione c’è, secondo Yang, la realizzazione di campagne informative rivolte ai cittadini cinesi. A rilanciare è Bruno Mazzara, vice preside della facoltà di Scienze politiche, sociologia, comunicazione de La Sapienza e professore ordinario di psicologia sociale, che invita i cittadini cinesi a farsi fonte dei giornalisti. Gli scambi di contatti al termine dell’incontro, con spunti per sviluppi futuri, indicano che l’obiettivo è stato raggiunto.

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Sandra Fratticci(15 aprile 2015)

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