Migranti, vertice UE: la solidarietà europea che non convince

Si è tenuto a Bruxelles il 25 novembre l’attesissimo vertice dei Ministri dell’Interno dell’UE sul tema migranti e sbarchi nel Mediterraneo, con l’intento di riprogrammare l’approccio europeo sulle migrazioni e rispondere all’esigenza di un maggiore coordinamento tra i Paesi membri in vista del Consiglio ordinario dell’8 dicembre. L’incontro, programmato dopo lo scoppio della crisi Ocean Viking per appianare le divergenze sorte tra Parigi e Roma, è stata un’occasione, inoltre, per fare il punto e discutere del Piano di azione UE per il Mediterraneo centrale, presentato dalla Commissione Europea il 21 novembre scorso.

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Mare e recinzioni nell’Isola di Lesbo, uno dei più grandi campi profughi d’Europa. Foto di Lydia Hague per Unsplash

Cosa si è detto?

Necessità di stipulare un codice di condotta per le ONG. Forse la maggiore novità emersa da questo vertice, che ha raccolto il consenso pressoché unanime dei rappresentanti dei vari Paesi membri. Di fatto una decisione che sembra avallare l’enfasi sulla responsabilità delle ONG negli sbarchi, una costante nel discorso pubblico italiano sul tema migrazioni da almeno un decennio con le ONG ciclicamente definite “taxi del mare” o “fattore di attrazione per le partenze”, o comunque messe sul banco degli imputati.

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✅Validità e necessità di potenziamento del meccanismo volontario europeo sui ricollocamenti dello scorso 22 giugno (lo stesso interrotto dalla Francia in seguito alla crisi Ocean Viking, ndr). Resta il nodo della volontarietà del meccanismo, di fatto suscettibile ai mutamenti politici dei Paesi aderenti e nei loro rapporti reciproci, senza alcuna garanzia di strutturalità. Non essendo previsti vincoli di sorta, ogni Paese può decidere in qualsiasi momento di sospendere l’accordo, senza incappare in alcun meccanismo sanzionatorio.

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Esternalizzazione delle frontiere, accordi di cooperazione con i Paesi di origine e di transito, anche attraverso il coinvolgimento di UNHCR e OIM. Di fatto gli accordi attualmente in vigore con i Paesi terzi hanno avuto esiti devastanti sul piano del rispetto dei diritti umani dei migranti: basti pensare all’accordo UE con la Turchia, per non parlare del Memorandum Italia-Libia. In quest’ultimo caso i fondi italiani hanno finito per essere utilizzati come finanziamento del caos libico, fatto di veri e propri lager antimigranti e strapotere della sedicente Guardia costiera.

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Maggiore coordinamento tra i Paesi membri nei soccorsi e maggiore coinvolgimento di Frontex. Nel corso degli anni si sono susseguite diverse operazioni europee nel Mediterraneo – Mare Nostrum, Triton, Sophia e Themis – secondo un’ottica di progressivo abbandono della logica del soccorso in mare a favore di un approccio incentrato sul contrasto dei trafficanti e del blocco delle partenze. In questo processo ha avuto un ruolo sempre maggiore in termini di finanziamenti e prerogative Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, non esente da scandali e inadempienze.

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Definizione di standard per i rimpatri. Si sa che il tema dei meccanismi di rimpatrio è il vero vulnus su cui negli anni si sono andate scontrando politiche securitarie incentrate sulla criminalizzazione dei cosiddetti “clandestini”. Appurato che il richiedente asilo non possiede i requisiti per ottenere alcuna forma di protezione internazionale o il riconoscimento di uno status giuridico definito, il soggetto diventa in automatico un migrante irregolare, che il più delle volte non si può rimpatriare. Il meccanismo del rimpatrio, infatti, allo stato attuale presuppone l’esistenza di un accordo con ogni singolo Paese di provenienza.

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Cosa non si è detto?

Non si è parlato di Riforma del Regolamento di Dublino, annunciata da Ursula Von Der Leyen durante la presentazione del Nuovo patto europeo su migrazione e asilo del 23 settembre 2020. La proclamata volontà di superare la gestione per crisi del fenomeno migratorio si scontra con l’indisponibilità a riformare il Regolamento di Dublino, che di fatto sovraccarica di responsabilità gli Stati europei di primo approdo nella gestione del fenomeno migratorio rispetto agli altri Paesi membri.

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❌Non si è discusso di come coordinare le esigenze di ridistribuzione con il progetto migratorio del singolo migrante. Ancora una volta sembra si sia utilizzata una logica distributiva e numerica per la gestione dei migranti, senza tenere in adeguata considerazione il fatto che si tratta pur sempre di persone con precisi progetti per il futuro, spesso bloccati nei Paesi di primo approdo proprio per i complessi meccanismi dell’UE. Valorizzare i legami significativi con i Paesi di destinazione, favorendo l’inserimento in una rete di relazioni familiari o amicali già esistente, significa di fatto agevolare il processo di integrazione, con uno sgravio importante in termini di risorse a carico del Paese ospitante.

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Nessuna volontà di stabilire un ampliamento dei canali di ingresso legali per migranti economici. Non si può affrontare il tema degli sbarchi senza prevedere un ampliamento dei canali di ingresso regolari in UE. Se la situazione per i richiedenti asilo può dirsi in qualche modo blindata da norme e trattati internazionali sul diritto di asilo, resta il nodo dei cosiddetti “migranti economici”, categoria eterogenea e di comodo in cui far rientrare indistintamente tutti coloro che non possono ottenere protezione internazionale (inclusi coloro che scappano da fame, cambiamenti climatici ecc). Varrebbe la pena interrogarsi su quali potrebbero essere – e se effettivamente esistono – gli strumenti efficaci per affrontare questa specifica questione.

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Un bilancio più o meno provvisorio

Dal vertice non sono emerse, in sostanza, proposte innovative per la gestione del fenomeno migratorio. L’appello alla solidarietà europea si è risolta nella ormai tristemente nota dichiarazione d’intenti, la cui attuazione concreta finisce per essere sempre posticipata nel tempo, soprattutto quando comporta il coinvolgimento diretto di Paesi non di primo ingresso. Lo stesso Piano di azione UE per il Mediterraneo centrale, destinato ad affrontare soltanto una delle molteplici rotte migratorie verso l’UE (è stato annunciato il prossimo varo di un analogo piano per la rotta balcanica, ndr), denuncia una mancanza di strutturalità nell’approccio europeo al tema. Pur ribadendo a parole la volontà di superare l’attuale gestione dei flussi migratori per crisi successive, di fatto si finisce per applicare ancora una volta la logica dell’equilibrio politico, limitandosi ad appianare le divergenze più evidenti tra i Paesi membri sulla gestione degli sbarchi e dell’accoglienza. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che [qualcosa] cambi.


Il Piano di azione UE per il Mediterraneo centrale


Silvia Proietti
(26 novembre 2022)

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